New York. Studio 54. Da qualche parte sul finire degli anni ‘70. Una piuma viola si stacca dall’eccentrico vestito di una ballerina scatenata in pista, piroettando in una selva di spalle, scolli e mani al cielo, volteggia in quel caleidoscopio di glitter, disco music e impossibili acconciature fino a posarsi lieve sul bavero della giacca di un giovane intrigante texano che proprio sul più bello abbandona il party e sgattaiola in una caffetteria lì vicino, dove sfodera blocchetto e matita e inizia a disegnare schizzi d’alta sartoria. Il suo nome è Tom Ford, anni dopo sarà capace di fatturare alla guida di Gucci qualcosa come tre miliardi di dollari, ma per adesso si gode il suo caffè all’alba, cullato nei suoi sogni di gloria.
L’ultimo exploit di Mr. Ford in ordine di tempo è stato il sorprendente esordio alla regia con “A Single Man”, tratto dall’omonimo romanzo di Isherwood, con Colin Firth e Julianne Moore, film che ha vinto la Coppa Volpi a Venezia per la struggente interpretazione di Mr. Firth, attualmente candidato agli Oscar 2010. È un film che parla d’amore il suo. Di un professore universitario nella California di inizio anni ‘60, George Falconer, distrutto dal dolore per la morte del compagno in un incidente d’auto. L’insostenibile peso di tutta una vita rivissuta in un giorno: l’ultimo.
Un sopravvissuto in abito scuro, protetto da un solenne paio di occhiali dalla montatura spessa e nera, che spogliatosi del suo ossessivo self control, dell’impeccabile discrezione del suo sentire, scopre di provare tutte le emozioni umane possibili, dal desiderio alla disperazione, dalla compassione all’empatia. Sebbene la validità definitiva del film sia stata contestata da qualche purista del settore, nessuno ha potuto negare l’impronta seduttiva di quelle immagini, rigorose e sensuali.
Ma chi è davvero questo multiforme cinquantenne talento texano che ha fatto del suo nome un sinonimo di stile, un marchio sopraffino che coniuga l’edonismo al business? Nato nel 1961 a Austin, Texas, Tom trascorre gran parte della sua infanzia negli anonimi sobborghi di Houston, quindi ad undici anni si trasferisce con la famiglia a Santa Fe. Annoiato dalla letargia estetica della provincia americana, all’età di diciasette anni Tom prepara le valigie e si trasferisce a New York, dove studia design e storia dell’arte e dove comincia davvero la sua nuova vita.
Sono anni incredibili quelli da vivere a New York. Tom fertilizza la sua creatività frequentando la leggendaria discoteca Studio 54 dove conosce Andy Warhol e gli altri creative boy della factory in nottate memorabili.
La sua gavetta passa attraverso uno stage nell’ufficio stampa di Chloè, quindi entra a far parte dello staff creativo della designer Cathy Hardwick; e un paio d’anni dopo passa alla Perry Ellis come Direttore del Design sotto la supervisione di un’altra figura fondamentale del mondo della moda: Marc Jacobs.
E fin qui nulla di trascendentale. Sarebbe potuto diventare uno dei tanti stilisti talentuosi che alimentano il mondo della moda senza fare ombra, ma ecco che nel 1990 Tom si trasferisce a Milano, entrando nel sontuoso & comatoso marchio Gucci, come direttore creativo della linea donna. Il resto è storia. Una delle più incredibili ascese che il mondo del fashion ricordi, un effetto viagra sul fatturato dell’azienda che nel giro di pochi anni gli consente di diventare Creative Director, con responsabilità onnicomprensiva sulla produzione e sull’ immagine della compagnia, che viene rilanciata nel gotha del lusso grazie alle ruggenti campagne pubblicitarie in collaborazione col fotografo Mario Testino. È la nascita di uno stile unico, imperioso, che ridefinisce il concetto di nero, di abito da sera; c’è uno spregiudicato erotismo che permea ogni sua creazione: dalle scarpe ai mobili ai profumi, tutto è spudoratamente bello, prezioso, ammaliante e devastante.
Il marchio Gucci da brand per matrone snob e un filo conservatrici alla Sophia Loren, si ricolloca sul mercato come l’oggetto del desiderio delle nuove star, delle giovani femmine rock e di certe signore più consapevoli della propria femminilità come una certa Miss Veronica Ciccone.
Nel giro di un decennio o poco più Tom, in collaborazione con Domenico De Sole, il vero deus ex machina dietro l’espansione economica del gruppo, ha solidificato a colpi di scandali e celebri collezioni un brand che fa rima col suo nome, tanto che dopo esser uscito dal gruppo Gucci nel 1994 ed aver lasciato la direzione creativa di Yves Saint Laurent, ha fondato proprio con l’ex socio la società Tom Ford™. Inizialmente attivo nel campo della cosmetica e degli occhiali, attraverso campagne fotografiche firmate dal nasty boy Terry Richardson, la sua weltanschauung si riconferma come oggetto del desiderio dei luxury victim. Ciò che colpisce di questo simil modello un po’ Ken un po’ beefcake da spogliarello in un femmineo addio al celibato, è la capacità d’inventare favolose esigenze, magari falsi bisogni, ma con una lucidissima interpretazione delle regole del mercato che ricorda molto la parabola ascendente di un Damine Hirst nel mondo dell’arte.
Alexander Mc Queen, col suo gravissimo e inaspettato suicidio, ci ha insegnato che tutto l’oro e la gloria del mondo non servono a prevenire i disastri dell’anima, ma Tom Ford, proseguendo il suo personalissimo percorso professionale, ci lascia sperare che inseguire un sogno di bellezza, di questi tempi, sia già di per sé una ragione per cui vivere.