testo di Gabriella Pittari
foto di Kaput Dodds | flickr.com/kapukdodds | 500px.com/kapuk
Troppo poco conosciuta è l’esperienza artistico-architettonica degli italiani in Thailandia, quando si chiamava ancora Siam, tra gli anni Venti e Quaranta del secolo scorso. L’arte italiana era stata apprezzata durante le due visite di Stato in Italia del re siamese Rama V nel 1897 e nel 1907, suscitando in lui grande stima e il desiderio di rinnovare Bangkok con opere del nostro paese, soprattutto con edifici più moderni. Quel re siamese a noi noto dal film Anna e il Re era stato educato all’arte occidentale dalla sua istitutrice Anna e apprezzava soprattutto l’Italia, anche perché a quel tempo priva d’aspirazioni colonialistiche in Oriente.
Nel Settecento il paese aveva avuto contatti di tipo religioso con i missionari gesuiti. La vera collaborazione con l’Italia era cominciata nel 1800 con il colonnello Gerolamo Emilio Gerini, colto intellettuale, fondatore dell’Accademia Militare Siamese e della Siam Society, il maggior centro di studi storico archeologici, attivo ancor oggi. Come antropologo Gerini si era occupato di studiare e interpretare i riti ancestrali d’Oriente. La conoscenza del nostro paese e la stima del re verso l’intellighentia italiana era divenuta sempre più profonda. Gli italiani accettarono la sfida di quell’invito con orgoglio, ma anche con la curiosità di penetrare in quel contesto misterioso dall’architettura bizzarra. Il primo italiano da ricordare, dopo Gerini è il fiorentino Corrado Feroci (nome thailandese Silpa Bhirasri), che fondò a Bangkok l’Università delle Belle Arti di Silpakon, dando il via all’arte moderna siamese e costruendo monumenti divenuti storici. Il suo inserimento non fu facile: troppo diversi erano i canoni artistici delle due nazioni. Ora in Thailandia ogni anno il 15 settembre si ringrazia all’interno dell’Università l’illustre fondatore, deponendo fiori e incensi ai piedi della sua statua.
Da ricordare sono anche i due architetti Annibale Rigotti e Mario Tamagno, che nel 1907 progettarono un capolavoro di stile moderno, tra il liberty e il neoclassico, che a noi può ricordare la stazione centrale di Milano. Del resto l’epoca è quella. Si tratta del palazzo Annata Samakhom la sala del trono, affrescata all’interno della cupola, in stile San Pietro, da Galileo Chini con la storia degli ultimi sette re della dinastia Chakri, tra i quali Rama V: una novella Roma (sette re) sotto i cieli d’Oriente, rappresentata in stile liberty da luminosi affreschi a tinte forti. Il re si era innamorato della pittura di Chini durante la sua visita alla Biennale di Venezia e lo aveva chiamato a corte. In Siam il pittore fece la folgorante scoperta delle origini ancora più orientali dell’Art Nouveau. Con i due architetti, Rigotti e Tamagno, ai quali si aggiunse Manfredi, Venezia fece il suo ingresso sulle rive del Chao Phraya. Villa Norasingh fu progettata da loro come un palazzo ducale neo gotico modernista, con una profusione incredibile di marmi di Carrara.
Entrare nel palazzo è come aggirarsi nella Ca’ d’Oro. Attualmente la villa è la sede del Governo. Ercole Manfredi, anch’esso architetto, si sposò nel Siam e visse il resto della sua vita in quel paese con il nome di Ekarit. La sua architettura si evolse in forme moderniste. Progettò diversi edifici, tra i quali nel 1939 la sede principale dell’Università Silkaton. Sotto il re Rama VI Manfredi diventò capo dell’ufficio tecnico reale e progettò in stile colonial-tropicale la residenza estiva dei re Cha-am a Hua-Hin. Nel laghetto della villa si può ammirare un piccolo tempio, una torta siamese su un vassoio veneziano ad archetti appuntiti, che si sdoppia nello specchio d’acqua: una vera delizia.
Anche la vita di Mario Tamagno fu strettamente legata alla Thailandia. Nel 1900 arrivò a Bangkok con un contratto che lo legava al servizio dei re per venticinque anni. Fu architetto e ingegnere civile. Sempre insieme a Rigotti contribuì alla costruzione del tempio buddista Wat Benchamabophit, detto Tempio di Marmo, realizzato in marmo bianco di Carrara su disegno del principe Narisara Nuvadtivongs. Si tratta di una tipica costruzione siamese a pagoda, con i tetti scoscesi che sembrano ali d’uccelli del paradiso, con i tipici naga, i serpenti portatori di vita associati all’acqua di derivazione vedica, per piume. L’ingresso a triangolo è sorretto da bianchissime colonne di marmo, i tetti terminano con eleganti naga.
Nel parco del Palazzo Dusit Tamagno progettò la sala del trono di Abhisek Dusit, uno splendido edificio bianco dai tetti rossi, con archi di forma orientale elaborati come pizzi che decorano le gallerie d’accesso di tipo coloniale: un insieme di stili che si armonizzano alla perfezione. Nel palazzo Phaya Thai Tamagno costruì la sala del trono Thewarat Sapharom, un edificio particolare, molto bello. Ancora una volta insieme a Rigotti costruì la stazione ferroviaria Hua Lamphong, che si presenta come una balconata neoclassica con bordature dorate, avvolta in un arcobaleno, l’hangar dove si trovano i binari. La galleria è chiusa ai due lati da due edifici cubici bianchi, gli uffici delle ferrovie.
Al termine del suo contratto Tamagno tornò in Italia. Molti altri italiani furono impegnati in quest’eccezionale impresa: scultori, pittori, decoratori, ingegneri e ancora architetti, una fantastica equipe di trentacinque persone. La vita in Siam per i nostri artisti costruttori non si rivelò facile: il caldo e le malattie (colera, malaria, febbre gialla) ne minarono le vite. Alcuni vi morirono e ora sono sepolti nel cimitero di Silom Road.
Con lo svolgersi degli avvenimenti storici che seguirono i rapporti Italia-Siam, diventata nel frattempo Thailandia, s’affievolirono. Gli italiani però lasciarono il loro significativo contributo artistico, in quella stagione così creativa per quel fantastico paese.