di Gabriella Pittari
Quando dall’aeroporto si arriva a Mosca, già sul taxi senti odori diversi, non più quelli dell’Unione Sovietica. Per entrare in città ci vuole molto tempo, ma guardare i boschi che formano delle barriere uniformi di alberi tutti alti uguali e diritti mi fa sentire l’aria della Russia, che mette addosso uno strano stimolo, una voglia di andare, andare dappertutto, affrontando il vasto territorio, l’orizzonte che s’allontana tutte le volte che ci s’avvicina. Però non si può passare oltre, lasciare Mosca senza la rituale visita alla Piazza Rossa, quel posto unico dove Oriente e Occidente si mischiano nei forti toni delle cupole di San Basilio, quell’insieme di chiese nate attorno alla tomba di un folle di Dio, un veggente come lo fu molto tempo dopo Rasputin, anche se in modo molto meno ascetico di Vasilij. I russi sono un po’come questi strani santi: imprevedibili. Questo non è un tratto negativo, anche se può disorientare. Lasciata la città sembra di piombare in un altro paese, in quello vero, dove la sensibilità dei suoi abitanti è rimasta quella dell’Unione Sovietica; i russi stanno meglio di prima, ma i loro problemi non sono affatto finiti, anzi.
Percorrere la Russia in lungo e in largo come ho fatto io è un’impresa fantastica: steccati di alte e schiette betulle dal fusto bianco luminescente sfilano lungo i finestrini del treno. Quando si va in macchina si attraversano quei muri e sembra di essere inghiottiti per sempre dalla taiga, il bosco siberiano, fitto e profumato di funghi, fragole e mirtilli; un bosco profondo, interrotto solo da qualche cupola azzurra, dorata o bianca, capace di spezzare quella continuità senza fine. Si viaggia sulle tracce di chi ci ha preceduto verso la Siberia. Michele Strogoff, il corriere dello zar di Jules Verne: le mie avventure per fortuna non sono così spericolate e pericolose. La mitica traversata su Fiat Itala Pechino-Parigi del 1907, documentata dal giornalista del Corriere Luigi Barzini. Immagino anche un mondo di spie intelligenti, e penso all’arroganza del potere, mai finita, nonostante il crollo della cortina di ferro. Non è più Solzhenicyn il dissidente a interessare, ma Limonov il politico astuto, artefice di se stesso.
Le vie fluviali della Russia sono tante, fiumi rigogliosi color fiordaliso trasportano merci e persone. Sempre in movimento, sono state le vie di comunicazione più battute: attraversano campi di lupini viola intenso, d’erba medica gialla, ondeggiante al fresco vento del Nord. A frenare lo scorrere delle acque è il freddo: il ghiaccio trasforma tutto in una distesa bianca, punteggiata di corvi neri e cornacchie, grandi e chiassose.
Vedere la Russia d’inverno è un’altra esperienza che non ha uguali. Il bianco domina, acceca e mimetizza cose e uomini. Solo il cielo a volte è blu, ed è la luce della speranza. La meta d’Oriente è Irkutsk, una vera città, non lontana dal lago Bajkal; un centro culturale dove Mosca e San Pietroburgo si sono incontrate agli estremi del territorio russo. In questa località furono esiliati i decabristi, un gruppo di nobili che tentarono una rivoluzione che fallì. Gli zar, per niente teneri con i politici, giustiziarono i capi, nobili o non nobili, e spedirono in Siberia gli altri. La loro traversata della Russia fu epica e sofferta, e molte mogli seguirono le sorti dei mariti. Lontano dai salotti dei nobili nacquero nuovi amori, più sinceri, più spontanei. Allo scadere della condanna molti rimasero a vivere in quel lontano avamposto dell’Impero Russo, studiando il territorio, istituendo scuole.
Il Bajkal non ha rivali, bello in estate e in inverno. Eccezionale la pesca quando si fora il ghiaccio e si resta in muta ammirazione delle sottili lame trasparenti, simili a vetri lanciati sul lago da un vetraio impazzito. Ho esplorato l’isola di Sakhalin con il libro di Anton Čechov, un reportage di inizio Novecento su quella terra di deportati, dove la natura è esuberante e sgargiante solo pochi mesi l’anno. Undici fusi dall’Italia per sbarcare in Kamchatka, una terra bellissima di vulcani e boschi che in autunno si tinge di gialli e rossi, dove goffi orsi bruni pescano enormi salmoni argentati nelle acque spumeggianti dei torrenti. Nella Valle dei Geyser queste sorgenti lanciano altissimi soffioni verso il cielo, spruzzando in aria un caleidoscopio di colori. La Kamchatka s’esplora in elicottero, è dall’alto che tutto diventa reale in una terra che sembra appartenere all’altrove. Se per Mandel’štam «Ulisse fece ritorno / stanco di tempo e di spazio…», io mi perdo con gioia negli spazi spopolati della grande Madre Russia, mia amatissima terra.
Autrice per Polaris di due guide, Russia Europea e Le capitali della Russia: Mosca, San Pietroburgo e l’Anello d’Oro, Gabriella Pittari ha fatto del viaggiare la sua professione. Dopo anni passati alla Olivetti come interprete di russo decide di sfruttare la conoscenza della lingua per esplorare in lungo e largo la Russia e osservare e raccontare i suoi luoghi e i suoi cambiamenti. «Questa guida della Russia europea vorrebbe portare il viaggiatore a conoscere la sconfinata pianura russa, sepolta nella neve invernale e nel freddo che la isola ancora una volta dal resto del mondo, contribuendo a rafforzare la propria identità».
RUSSIA EUROPEA
Polaris – 2009 – 27,20€