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di Marianna Kuvvet
illustrazione di Giovanna Forlano

Londra sinonimo di eleganza. Dimenticatevi i vari Topshop e gli altri colossi della moda dozzinale di Oxford Street e dimenticatevi anche della London Fashion Week e dei numerosi designer, almeno per un attimo. Sto parlando di eleganza, non moda. La prima a differenza della seconda non conosce collezioni e stagioni e soprattutto ignora le tendenze passeggere. La moda cambia in continuazione, è schiava del tempo che passa e la rende passata, l’eleganza no.

A pochi passi dal caos di Oxford Circus e Regent Street si nasconde Savile Row, definita the golden mile of tailoring. Un solo miglio che racchiude, ha visto nascere e ancora oggi racconta l’eleganza british nella più tradizionale delle accezioni. Tanto tradizionale che il nostro Giorgio Armani si è scomodato e l’ha definita un “cattivo esempio di commedia inglese” per il suo essere completamente fuori dal tempo. Punti di vista. Detto ciò, rimane il fatto che Savile Row è laddove è nato il termine bespoke, da be spoken for, su misura nella meno romantica traduzione italiana. È laddove l’ammiraglio Nelson, Wiston Churchil, Fred Astaire e Cary Grant si recavano per affidarsi alle mani di sarti esperti. Anacronistico? Rilancio con Mick Jagger, tre dei quattro completi che i Beatles indossano sulla copertina di Abbey Road, i costumi del Batman di Tim Burton e un numero tanto elevato di attori che non ho il tempo né lo spazio di citare. Per non parlare dei designer, fra i quali Alexander McQueen, che hanno mosso proprio lì i loro primi passi come apprendisti. Questa stradina è stata location dell’ultimo live dei Beatles il 30 gennaio del 1969, avvenuto sul tetto del civico n.3, è citata dai Kinks ma anche da Jay-Z così come nel film Dr. No di James Bond, solo per dirne alcuni. Se si deve parlare di eleganza e classe si parla di Savile Row. Lo sanno bene i giapponesi, tanto bene che la parola che utilizzano per indicare i completi maschili è sebiro, una contrazione del nome della via londinese.

Non si possono non riconoscere il fascino e il romanticismo di questo miglio d’oro. Passeggiando davanti alle vetrine ci si aspetta quasi di incontrare uomini con cilindro e bastone e vedere carrozze percorrere lente la strada al posto dei black cab. Microcosmo nel pieno centro della capitale inglese, nell’elegante quartiere di Mayfair, è un piccolo spazio, una bolla, in cui il passare del tempo sembra non avere effetto mentre il resto della città si muove frenetica al suo ritmo. Per la consegna di un abito su misura si può aspettare anche più di un anno (ve l’ho detto, lì il tempo è relativo) e i prezzi sono tutto tranne che modesti, ma si sa, ahinoi, spesso la qualità è sinonimo di lusso. E se da una parte il lavoro minuzioso dei sarti di Savile Row non è accessibile a tutti, dall’altra è sicuramente in grado di soddisfare i gusti più disparati. Atelier centenari assicurano lavorazione e produzione classiche, quelli sorti più di recente assecondano le richieste più singolari. Unico punto fermo la qualità, per proteggere la quale è stata costituita la Savile Row Bespoke Association, a tutela di quello che da molti è considerato un prodotto senza eguali che rischia di venire inghiottito dal consumismo contemporaneo e dall’aumento esponenziale dei prezzi degli immobili della prestigiosa zona. Proprio lo scorso aprile alcune voci di corridoio volevano Abercrombie & Fitch in procinto di inaugurare uno store nella via. Si salvi chi può. La notizia ha portato i Chaps, una community di auto-ironici amanti dei vestiti e del lifestyle vintage, a manifestare al grido di “Give Three-piece a chance, save Savile Row from Abercrombie & Fitch”. La manifestazione ha avuto un’enorme risonanza mediatica in tutto il mondo e del flagship americano ancora neanche l’ombra. Ovviamente. Ditemi come si potrebbe non dare ascolto a qualcuno che sembra uscito da un jazz club degli anni del Protezionismo.

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