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di Luca Romanelli

foto di Mary Kang e Bill Reeves / Prima Luce Studio (USA) | primalucestudio.com

La parola Texas deriva da teysha, letteralmente “ciao amico” nella lingua della tribù indiana Caddo. E l’accoglienza è proprio quello che più caratterizza e stupisce di Austin, capitale dello stato che conta città ben più grandi come Dallas, Houston e San Antonio, definita anche a red fish in a blue sea, roccaforte democratica con forti influenze hippie; città profondamente liberale all’interno di uno stato storicamente conservatore. The live music capital of the world, Austin ospita ogni anno diversi festival tra cui: l’Austin City Limits, che si svolge in autunno, e l’Austin Psych Fest e il South By South West (SXSW), entrambi in primavera.

Tra questi il SXSW è sicuramente quello che meglio ne incarna lo spirito, o quantomeno è quello che ho pensato io quando l’intera città durante le prime due settimane di marzo si è trasformata in un enorme concerto a cielo aperto. A differenza degli altri festival i concerti non si svolgono in un’area dedicata, ma in giro per la città, in locali, teatri, cinema, parcheggi o terrazze attrezzate per l’occasione.

Essendomi come sempre ridotto all’ultimo e sprovvisto di pass, badge e quant’altro, sono comunque riuscito a vedere molti degli artisti presenti: Cold War Kids, Alt J, Klaxons, Major Lazer, Black Angels, The Heavy, Loco Dice, Nicolas Jaar, The Specials, solo per citare nomi già affermati, insieme a centinaia di band emergenti provenienti da tutto il mondo. Seguire i concerti è stata quindi l’occasione per girare ed esplorare la città (in bici, essendo completamente ciclabile e considerato il traffico a livelli romani che si crea durante questo periodo) e i suoi locali, e assistere, oltre ai concerti, a film e presentazioni: il festival dura infatti due settimane di cui la prima incentrata su cinema e nuove tecnologie.

La crescita esponenziale vissuta dal SXSW negli ultimi anni segue quella più generale vissuta da Austin, che oltre a essere molto attenta all’ambiente e all’ecosostenibilità, sta sempre più diventando un importante polo informatico e tecnologico (non si vive di solo petrolio).

Se da un lato infatti il plastic bag ban entrato in vigore a marzo, che vieta l’uso e la distribuzione di buste di plastica per tutta la città, è solo uno degli impegni presi a favore dell’ambiente, dall’altro la città si sta sempre più espandendo, diventando una metropoli moderna al pari di quelle che la circondano. Ultimo esempio è Google Fiber. Seconda città degli Stati Uniti a esserne dotata, si tratta di una connessione internet fino a cento volte più veloce di quella tradizionale, offerta a tutti i cittadini per un periodo garantito di almeno sette anni per poco più di trecento dollari.

Una città che pur espandendosi sta mantenendo una sua identità, frutto anche delle influenze ispaniche e dei nativi d’America, e che vale la pena visitare prima che il suo sviluppo, inevitabilmente, le faccia perdere quell’atmosfera da autentico far west alla Sergio Leone.

Come direbbero gli austinites, don’t Dallas my Austin.

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