Sembrano fatti per confonderti le idee i cartelli stradali del Salento. Sono tanti, troppi e indicano tutti qualcosa e il suo contrario. E la cosa incredibile è che in fondo hanno sempre ragione loro. Quindi se stai in macchina e hai deciso di scorrazzare qua e là tra le miriadi di paesini che costellano questa terra pianeggiante sospesa nel tempo, prenditela con comodo. Anzi, prova a lasciarti andare e seguire l’istinto. Scoprirai il vero fascino del Salento segreto, al di là della pizzica e dei fondali cristallini. Scoprirai che quello che veramente lo rende un luogo magico è il fatto di essere ancora profondamente selvaggio, vuoi per l’incuria dell’uomo, vuoi per la volontà del suo popolo di lasciare la propria terra libera di essere ciò che è, se stessa.
Ed è così che può capitare, per la verità assai spesso, di seguire con lo sguardo i muretti tirati a secco e scorgere una grossa pietra appoggiata tra le steppe. Non ti stupire se si tratta di un Dolmen o un Menhir e se ha molto da raccontare; per esempio su chi eravamo quasi duemila anni fa, prima ancora che il Colosseo vedesse luce, quando il Salento era la terra dei Messapi, piccoli agricoltori e mercanti che ben presto hanno dovuto cedere il passo ai Greci prima e ai Romani poi.
Chissà invece cosa stavano cercando i cinque speleologi che nel 1970 hanno scoperto la grotta dei Cervi a Porto Badisco, e lo stupore che devono aver provato quando dopo millenni ne hanno illuminato le pitture. L’emozione nello scorgere le piccole mani di bambino impresse qua e là a guano e terra rossa, e poi le scene di caccia, le spirali, i grovigli e un buffo re danzante a capeggiare su tutti. E chissà se hanno chiuso gli occhi per sentire il suono della sua danza. Oggi la grotta è chiusa al pubblico, ma il Salento è pieno di caverne e soprattutto di cunicoli percorsi da acque dolci che ne tracciano le viscere. La leggenda vuole che uno di questi risalga fino a una chiesetta antica, antichissima, nascosta nelle campagne di Ruffano. Potrebbe capitare, nel corso delle tue peregrinazioni, di imbatterti da queste parti. In tal caso visitala, dammi retta.
Appena lo sguardo pregno di luce avrà preso confidenza con il buio, ti si materializzerà uno dei Cristi più toccanti dipinti a parete. Macchie rosse di colore sono espressione diretta del suo dolore, mentre i graffi sulle rocce ricordano analoghi dipinti cristiani in terra turca, la Cappadocia.
Poco lontano, nel centro di Casarano, un’altra cappella bizantina si offre in tutto il suo tacito spettacolo. È la chiesa di Santa Maria della Croce, fra i luoghi di culto cristiano più antichi al mondo. Ma è seguendo il canto delle cicale che riposano nelle pinete più a Sud verso il mare che potresti scovare l’espressione più suggestiva dell’arte bizantina, la cripta del Crocefisso. A vederla così, semplice e scarna sotto il calore cocente del sole di Ugento, sembra solo una piccola chiesetta di campagna. Eppure al suo interno custodisce un tesoro. L’ambiente sottostante è intriso di sacralità e mistero, tra dipinti cristiani misti a simboli esoterici paleocristiani, ma anche a figure naturalistiche e mostruose, e a scudi crociati, rossi e neri, testimonianza chiara di una qualche relazione con i Templari e i Cavalieri Teutonici. Alzando lo sguardo, fuori, torri di vedetta testimoniano il tempo che fu, quando i Turchi minacciavano le terre d’Otranto e i crociati partivano dalle sue coste verso Oriente. Chissà se il vecchio ulivo di Borgagne, che si vanta di essere il più antico al mondo, ne ha viste mai le gesta.
Se per caso ti sei fermato a rinfrescarti sotto le sue fronde prova a chiederglielo. È così bello perdersi tra le sue storie.