a cura di Claudia Bena
Dimenticatevi le cinque K, i segni fisici della fede per ogni sikh. Il battesimo (khalsa) non è mai stato obbligatorio. In pochi indossano il turbante (kesh), che nasconde i lunghi capelli raccolti ordinatamente con il pettine (kangha). La spada cerimoniale (kirpan), pur essendo solo un simbolo della lotta contro l’ingiustizia è comunque un’arma. Il bracciale (kara) lo indossano ancora. Le mutande (kacha), simbolo di castità, non abbiamo indagato. La comunità che si riunisce di domenica vicino Lavinio non è numerosa come le altre sparse per tutto il territorio dell’agro pontino. E trovarla non è stato semplice. Forse perché pensavamo di imboccare la nettunense e seguire il primo sikh in bicicletta. Invece non ne abbiamo visti. E molti indigeni non erano neanche a conoscenza dell’esistenza del tempio.
Che poi è un prefabbricato circondato da un parcheggio.
Veniamo accolti in maniera molto educata. Tutti ci guardano. L’interno del tempio è diviso tra la zona per gli uomini e quella per le donne. Chiunque può partecipare alle funzioni, e fare foto non è un problema. Provo a parlare con qualche ragazza che mangia fuori il Langar, il pranzo collettivo dei sikh, ma nessuna parla italiano, o non sembrano interessate a parlarlo con me. Poi arriva Poma. È un poeta, dice. Si trova bene in Italia. Il suo padrone è buono con lui. A questa parola rabbrividisco. Tra i principi fondamentali del sikhismo c’è lavorare onestamente, e nel nostro paese questo significa sfruttamento. Nel complesso la religione sikh parla di uguaglianza: non esistono caste, non esiste clero, non c’è differenza tra uomo e donna e hanno tutti lo stesso cognome. Singh (leone) per gli uomini e Kaur (leonessa) per le donne. Sono pacifici e fedeli, sono vegetariani e gli è interdetto fumo e alcol. Erano la guardia privata di Indira Gandhi, fino al 13 ottobre del 1984. Il movimento indipendentista che cercava di dividere il Punjab dal resto dell’India occupò il Tempio d’Oro di Amritsar, il luogo di culto sikh più importante. Indira Gandhi represse la rivolta nel sangue. Uccise il leader Jarnail Singh Bhindranwale, i soldati, ma anche le donne e i bambini. E le sue guardie personali si vendicarono puntando le armi che avrebbero dovuto difenderla contro di lei.
Oggi il Punjab è la seconda regione più ricca dell’India. Nonostante ciò ancora riusciamo a perpetuare la grande menzogna per cui nel mondo occidentale c’è lavoro e si guadagna meglio. Guardando questa gente non posso non guardare a noi e alla nostra civiltà ormai esaurita. Il declino del vecchio mondo è disarmante e troppo evidente di fronte alla schiavitù in cui costringiamo gli immigrati.