“Restituendo la giungla ai suoi albori” è un reportage realizzato nel Parco del Chitwan.
Mi trovo nella piccola cittadina di Sauraha – Nepal meridionale – nell’area del Parco del Chitwan: qui un gruppo di ragazzi, mossi da alti ideali, spendono i loro giorni liberi organizzando delle uscite per pulire la giungla dai rifiuti, pagando tutto di tasca loro – benzina, guanti, sacchi ecc… – e nel farlo coinvolgono anche i turisti che vogliono unirsi all’esperienza. Io sono uno di questi e alterno la mia collaborazione agli scatti fotografici.
L’ideatore di tutto ciò si chiama Maila Ghale, ragazzo nepalese di trentacinque anni, nato a Sauraha, padre di tre bambini di dodici, otto e tre anni. La sua presa di coscienza iniziò quando decise di recarsi a Raxaul, città dell’India situata nel distretto del Champaran Orientale, nello stato federato del Bihar, sul confine centro meridionale del Nepal:
“È stato orribile, mi sembrava di essere all’inferno; non mi era mai capitato di trovarmi in un posto tanto sporco in quanto a spazzatura”. Tornato a casa, si rese conto di quanto fosse fortunato a vivere nella sua rigogliosa città circondata dalla giungla, ma nonostante questo, gli sembrò che i rifiuti e la plastica abbandonati nella natura circostante le stessero facendo una carnale violenza, e tutto ciò lo fece sentire in colpa. Si rivolse, quindi, a varie organizzazioni del posto il cui scopo è la tutela ambientale e iniziò a sviluppare un progetto. “Qualunque cosa succederà in futuro andrà bene, la cosa importante è darsi da fare adesso” disse all’epoca a sé stesso. Il suo parere è che: “Se non iniziamo a fare tutto questo oggi, non ci sarà un domani ad attenderci”.
Partiamo alle sette e mezzo della mattina su uno dei veicoli utilizzati dai turisti per andare nella foresta con il vento tra i capelli ed un entusiasmo in grado di scolpire i muscoli facciali. L’area in cui ci rechiamo a raccogliere più spazzatura possibile è quella in cui scorre il Rapti River che, circa tre chilometri e mezzo più a valle, fiancheggia la città. La luce soffusa della mattina combinata con l’umidità notturna del suolo, per via dell’aumento della temperatura, muta in una leggerissima foschia; come se volesse sfiorare l’erba con i suoi grigi lembi per liberarla dal sonno. I rifiuti, gettati più a monte sono tanti. Sommersi nel letto del fiume e sulle rive adiacenti, nei periodi di piena durante la stagione delle piogge, straripano insieme all’acqua, incastrandosi tra la vegetazione circostante. L’attrezzatura di cui disponiamo consiste in: guanti di lattice, sacchi di juta sintetica, strette e lunghe canoe da fiume ricoperte da uno strato gommoso per trasportare i sacchi pieni a valle, e anche un trattore, utilizzato per lo stesso scopo.
Il 70% dei rifiuti raccolti sono contenitori di plastica, il 20% è costituito da vecchi vestiti e il 10% da oggetti tra i più disparati. La storia dell’uomo ha attraversato stadi evolutivi importanti riguardo all’utilizzo di materiali, tra cui: l’Età del bronzo, l’Età del rame, l’Età del ferro e noi ora ci troviamo nel bel mezzo dell’Età della plastica. Attività come quella organizzata da Maila, sembrano essere “perle in un mare di catrame”.