di Maria Giorgia Romiti
A Giulia, che da Londra in poi non mi lascia sola, e come Virgilio con Dante mi accompagna nell’ombra e nella luce.
Parte 1 –
Chi ha provato il volo camminerà guardando il cielo, perché là è stato e là vuole tornare. (Leonardo da Vinci)
Da Roma a Santiago del Cile
Come quasi ogni viaggio per mete lontane, anche il nostro inizia con un aereo. La comodità del volo diretto per la lontanissima Santiago del Cile è imparagonabile. Circa 15 ore di volo non stop in notturna. Sembrano eterne; intorno a noi c’è solo il nero della notte. Volare dall’Europa verso ovest fa sempre questo effetto. Che atterri a Rio, a Buenos Aires o a Santiago, la sorpresa è sempre la stessa: scopri il panorama del Sudamerica solo poco prima di atterrare. Pro e contro… Ma il pro è qualitativamente alto. Dal buio totale spuntano loro: le Ande. Montagne e vulcani altissimi che la letteratura non ha mai smesso di raccontare e descrivere. Per le loro sommità, i misteri e le popolazioni che da secoli sopravvivono lì su, al gelo e senza ossigeno. Rimaniamo poco nella capitale cilena. La mattina dopo siamo nuovamente all’Aeroporto Internazionale Comodoro Arturo Merino Benítez. L’inverno dell’emisfero sud mostra le sue caratteristiche: siamo gli unici viaggiatori senza gli sci in spalla!
Da Santiago a Lima
Nuovo volo, nuova città, nuovo Stato. Ma Lima la assaporiamo molto poco. In meno di 48 ore il numero di voli presi sale già a due.
Da Lima a Cusco
Il ricordo delle Ande meridionali cilene sembra lontano ma è ormai impresso nella nostra memoria, nei nostri telefoni e online su Instagram; ma è nulla rispetto a quello che ci aspetta. La fortuna è dalla nostra parte: a causa di un guasto tecnico partiamo con due ore di ritardo, il che ci permette di vedere la luce rossa del tramonto sui picchi delle Ande del nord. Riflessi di luce in ogni angolo e tutto, come ogni cosa vista dall’alto, assume un aspetto rassicurante, anche se lontani da casa. A chiunque decida di raggiungere Cusco, non sbagliate, arrivateci in aereo… Ma preparatevi a una lieve sensazione di smarrimento se soffrite l’altitudine. Cusco è a quota 3400 metri.
Cusco
L’arrivo è per alcuni un trauma polmonare e per la testa, ma la ex capitale peruviana, malgrado l’altitudine, merita sicuramente una visita. Una piccola perla del Sudamerica: un gioiello al riparo dall’assalto massiccio dei turisti. Poco dopo ne scopriamo il motivo: Cusco è la miglior base di appoggio per chi desidera percorrere l’Inca Trail. Un percorso tortuoso di circa 43 km da compiere in quattro giorni, dalla Valle Sacra a Intipunku. Provo in ogni modo a sfruttare il fuso orario per uscire molto presto la mattina in modo da scattare luce e momenti della città ancora addormentata, ma all’alba Cusco è già tutta illuminata. Decidiamo quindi di usare il nostro giorno libero per camminare senza meta. La giornata più comoda del viaggio: camminando tra camelidi andini per le strette vie che si arrampicano sulla montagna, ci fermiamo a bere mate de coca negli hostal di inglesi che sono scappati dalla metropoli. A pranzo mangiamo da Cicciolina. Non capiamo perché il ristorante che ci è stato consigliato si chiami come la nota pornostar. Eppure al suo interno, malgrado la ceviche e altre pietanze tipicamente peruviane, spicca la foto della bionda! A fine pasto però nessuno ci ha detto perché. Domani andiamo a Nord.
Da Cusco a Machu Picchu
I mezzi per giungere a Machu Picchu malgrado la breve distanza non sono poi tanti e Giulia e io ce ne eravamo accorte già da molto tempo. Il treno della PeruRail come unica alternativa, è anche la più romantica… Le opzioni del percorso sono due: prendere il treno da Cusco a Urubamba e approfittarne per scoprire la Valle Sacra degli Inca (o fare rafting sul fiume) per poi ripartire la mattina seguente con il treno per Machu Picchu, Aguas Calientes. In alternativa si può arrivare direttamente ai piedi della montagna di Machu Picchu (Aguas Calientes) e passare la notte li. Il paese che funge da “campo base” è un mercato all’aperto di cianfrusaglie made in China e tranne pochissimi ristoranti caratteristici, il resto è purtroppo molto artefatto. Sopra di noi veri e propri grattacieli verdi. Malgrado il suo contesto molto – troppo – turistico, questa cornice lussureggiante ha comunque un fascino irripetibile.
Per cena mi dedico a un tête à tête in amicizia con un altro hippie trasferitosi qui, questa volta un francese. La lingua ci permette per qualche ora di sentirci a casa. Il proprietario del ristorante Indio Feliz, ormai arrivato a una veneranda età, sfoggia tutti i suoi viaggi ai clienti. Lo consigliamo per la sua immensa varietà di birre belghe e artigianali. Finalmente tra poco saremo su… e su, è molto su. In fase di programma avevamo deciso che non ci sarebbe bastato visitare il sito archeologico e i lama adagiati sull’erba, scegliemmo quindi di prenotare anche i biglietti per la salita alla montaña Machu Picchu. Arriviamo così, non senza fatica, a 3061 metri di altezza. Basterebbe un po’ di allenamento e meno sigarette e ce la potrebbe fare chiunque, e ne vale pienamente la pena. La vista ripaga senza dubbio la fatica. Natura di ogni tipo, nuvole di ogni forma. In serata torniamo a Cusco, al nostro ristorante preferito, il Baco.
La Rainbow Mountain
Here we are. Due erano le priorità del viaggio e una di queste era vedere la Rainbow Mountain. Denominate così per l’infinità di gamma cromatica che le abbraccia. Il pick up a Cusco è in piena notte: precisamente alle 3.30AM, posticipato per nostra fortuna alle 4.00AM. Tre ore di jeep, una ricchissima colazione (sempre a base di mate de coca), l’attraversamento di una fascia della Cordillera del Vilcanota e arriviamo finalmente al punto di partenza per la salita alla Montaña Arcoiris (5000m di altitudine), anche conosciuta come Monte Vinicunca, in lingua indigena quechua.
Lì, centinaia di piccoli uomini e donne vestiti degli stessi colori della Rainbow Mountain aspettano gli aspiranti scalatori per salire in cima alla montagna a cavallo. La salita non è lunghissima ed è accessibile a tutti malgrado la carenza di ossigeno che affatica i muscoli. Ma noi decidiamo comunque di andare a cavallo: per divertimento, pigrizia e vanità. Inoltre Luigi (mai capito perché non si facesse chiamare Luis viste le sue origini Inca) ci consiglia la gita a cavallo poiché è nettamente più breve: ci ha fatto partire da Cusco in anticipo rispetto al normale orario di partenza e vuole arrivare in cima prima che ci raggiunga l’orda barbarica di turisti.
Dopo un paio d’ore siamo in cima. Per la prima volta capisco la vera definizione della parola “magia”. Le fasce colorate che avvolgono la montagna seguono una geometria perfetta. È inimmaginabile che tutto questo è opera della natura e non di un pittore. Non a caso il National Geographic, ha incluso la Montaña Arcoiris fra i 100 luoghi da visitare assolutamente almeno una volta nella vita… e dal 2015 questo è possibile. Prima di questa data la Rainbow Mountain era un luogo quasi sconosciuto, si poteva giungere lì dopo quattro giorni di trekking dell’Inca Trail che è tutt’altro che una facile passeggiata. Da due anni invece è possibile arrivare alla montagna direttamente da Cusco e fare il tour in giornata.
NB: preparatevi ad ascoltare la base musicale di El Condor Pasa di Simon and Garfunkel senza tregua.