Testo di Fulvio Rossetti
Foto di Alessandro Dante
Recita un antico proverbio giapponese:
“Non sorridiamo perché qualcosa di buono è successo, ma qualcosa di buono succederà perché sorridiamo”
In due settimane mi sono convinto che questo sia il gran segreto di un popolo che si è dovuto rialzare più e più volte, come un altro vecchio detto puntualizza “se cadi 7 volte, rialzati 8”.
Alla partenza mi ero ripromesso che il mio approccio sarebbe stato “in punta di piedi”, avendo io qualche infarinatura della cultura giapponese per essermi immerso per più di 30 anni della mia vita nell’immenso oceano video-letterario giapponese. Solo dopo un paio di giorni mi sono ricreduto: quell’atteggiamento di osannata riverenza, di estrema cordialità, tale da far sembrare il popolo del sol levante impacciato, mi apre davanti un mondo sereno, che in tutti i modi cerca di farti capire quanto voglia ha di venirti incontro, quanto riconosca in noi ovvie difficoltà di comunicazione.
TAPPA 1 – TOKYO
E per questo sono lì che si inchinano fino a quando l’ultima prostrazione è la loro, che ti sorridono anche quando sappiamo entrambi che io non farò il biglietto della metro grazie a te e te sei consapevole di aver fallito (e a volte questo potrebbe essere causa di morte…). Abbiamo vissuto Tokyo i primi 6 giorni, cercando di assorbire quanto più possibile. Devo essere sincero: avevamo un “nostro uomo” in loco, tale Ayako, conosciuta a Roma anni prima. Abbiamo camminato per giorni, rincorso autobus e ci siamo spinti dentro le metro, ma questo ci ha permesso di vedere la Torre Rossa ancora lì, nonostante gli attacchi di Godzilla, o come si nota in Rocky Joe, ormai vetusta e pericolante, abbiamo apprezzato gli intrecci dei cavi elettrici onnipresenti nelle opere da Myazaki a Go Nagai, e la auto buffe alla Toriyama, le vie come la piss alley, e il mercato di Ueno con la pioggia da New Tokyo.
La capitale d’oriente viaggia su binari tutti suoi, in tutti i sensi. La città con il più basso tasso di criminalità, Kabukicho, nota zona a “led” rossi, dove la perdizione si sviluppa in lungo e in alto, potrebbe essere paragonata al quartiere EUR di Roma di un normalissimo sabato alle 21.30. Tra ramen, zuppe di miso, gyoza come se non avessi un fegato, passando per sushi vari, vivisezioniamo Tokyo dal tempio Sensoji al Tokyo Dome, facciamo scorpacciata di fumetti e “robottoni” tra ikebukuro e aranjuko, attraversiamo yoyoji park e il porto e portiamo gli omaggi al Grande Gundam ad Odaiba. Ovviamente non ci facciamo mancare una vista aerea dai 450 metri della skytree e una visita, un po’ noiosa, e forse l’unica da evitare, al Palazzo imperiale.
Circondati dal primo giorno dalle cicale giganti, Myazaki ci aveva avvertito anche su questo, ci nascondiamo nelle metro, reticoli infiniti di binari, metallo che segue metallo fino ad arrivare alle grandi stazioni dove troneggia la famiglia degli shinkansen, i treni superveloci che collegano tutto il Giappone. Fuori dai treni o dalle metro il caldo estivo non lascia scampo, i giapponesi lo sanno bene, non è raro vedere blocchi di ghiaccio agli angoli, o distributori di bevande. L’umidità raggiunge il 90%, il giapponese si nasconde nelle sale giochi, nei karaoke, nelle affollatissime quanto rumorose sale pachinko. Accompagnati perennamente da un Doraimon che resiste al tempo e al capitale, ci dirigiamo verso Kyoto, la capitale spirituale del Giappone. è proprio così.
TAPPA 2: KYOTO
Kyoto, l’antica capitale del Giappone, è contesa tra modernità e tradizione. La città dei mille templi, nella regione di Kanto è attraversata dal fiume Kano, che divide anche la parte vecchia dalla nuova.
La città ti sorprende con i suoi numerosi giardini zen, il più noto quello del tempio Ryoan-ji. Sempre nella frenetica corsa contro il tempo e il caldo (Kyoto è una conca circondata da colline con un clima subtropicale), riusciamo ad ammirare il tempio Buddhista-zen di Kinkaku-ji, conosciuto come la “pagoda d’oro”, messo a fuoco durante la guerra degli Onin e ricostruito solo nel 1955. A ovest della città nella zona di Arashiyama, siamo stati sorpresi dall’immensa foresta di bambù, maestosi bambù che si susseguono all’infinito, tolgono il fiato e riempiono gli occhi. Attraversandola si arriva alla villa Okochi, dove i susseguono composizioni di rocce e muschio che, purtroppo, durante la stagione calda non da il massimo di sè.
Tra sentieri, vie alberate e soste obbligate per apprezzare la maestosità di quella scenografia archetipo del Paese, sfociamo nel giardino zen Tenryu-ji con annesso il “solito” tempio buddista. Il giardino ospita un bellissimo lago, dove le carpe la fanno da padrone.
Da Kyoto prendiamo il treno locale per muoverci verso sud, direzione Uji. Fushimi Inari è un importante santuario scintoista. E’ famosa per le sue migliaia di tori rossi lungo i sentieri che portano al santuario. I sentieri conducono nella foresta boscosa del sacro monte Inari, che si trova a 233 metri di altitudine e che appare nella celebre scena del film “Memorie di una geisha”.
Decidiamo che dopo tutta questa scorpacciata di sentimento religioso, abbiamo bisogno di vivere la notte alla occidentale, ma sembra che trovare un luogo dove si possa bere qualcosa di pseudo-alcolico è difficile almeno quanto trovare un mozzicone di sigaretta a terra. Tra le vie interne di quella scacchiera che è Kyoto ci imbattiamo, dopo non pochi ripensamenti, in un locale affacciato su uno dei tanti affluenti del fiume Kano. Non sarà una birra a dissetarci, o un cocktail a inebriarci, bensì un liquore al serpente, con tanto di rettile nella bottiglia, a esaltare la nostra virilità.
TAPPA 3 – HIROSHIMA
Ci lasciamo alle spalle Kyoto per un’altra “botta” emozionale. Direzione Hiroshima. Inutile dire quanto si percepisca il dolore, la sofferenza, la disperazione, la cattiveria e gli interessi dell’uomo in questa città, che è risorta più grande e più forte di prima. Soprassiedo sui monumenti dedicati alle popolazioni che hanno subito una tale aggressione in tempo di guerra…finita, e mi limito ad esaltare uno dei piatti più completi della cucina giapponese, l’okonomiyaki, visto più volte in aria nella celebre serie di Ranma 1/2. Solo ad Hiroshima saremmo riusciti a soggiornare in un vero riokan.
Ormai mancano 4 giorni al nostro rientro. Con un’organizzazione degna di qualsiasi giapponese a Roma (e solo romani noi sappiamo quanto sia necessaria) facciamo una rapida visita al “Castello Corvo”, nome che gli deriva dal suo colore totalmente nero e al Koraku-en , conosciuto come uno dei tre migliori giardini tradizionali del Giappone, situato a sud del parco del castello. Verde a perdita d’occhio, carpe a cui manca solo la parola, rocce che il caso non sanno cos’è e sabbia bianca posizionata granello per granello; 300 anni di storia raccontati da ciliegi, aceri, susini, fiori di loto, mini risaie, piccole piantagioni di tè e gru.
TAPPA 4 – KOBE E OSAKA
Considerata la nostra passione per il cibo e la sua varietà, non potevamo non omaggiare Kobe, la sesta città più grande del Giappone, sempre nell’isola di Honshu, per apprezzare la famigerata carne: abbiamo constatato come un pranzo possa diventare una esperienza mistica.
A 30 km si trova Osaka,adagiata sul fiume Yodo, la seconda area più grande del Giappone, con i suoi 19 milioni di abitanti, forse la più europea (sarà per questo che abbiamo trovato più mozziconi di sigarette a terra che mascherine per la bocca). E noi da buoni europei ci siamo tuffati a fare vasche nella zona Dotombori, la più pericolosa, dove lo sguardo a mandorla è tagliente e le minigonne non lasciano spazio alla fantasia, dove fumare in pubblico è più un avvertimento che un vizio. Bè noi ci abbiamo sguazzato e ci siamo tatuati, insomma nulla lasciato al caso, ma soprattutto nulla lasciato, perché quando respiri una cultura così diversa ti soffermi più volte a incamerare tutte quelle sensazioni, emozioni che solo un popolo così distante può donarti. Probabilmente lo stesso shock che un giapponese può subire venendo in Italia, forse però non per le stesse ragioni.