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I preconcetti

In 29 anni dominati da incertezza decisionale e dubbi sul futuro, solo due sono stati i pilastri della mia esistenza. La necessità di farsi crescere i baffi e la consapevolezza di sapere quale sarebbe stato il prossimo viaggio. Sempre oltre i confini italiani ad ogni modo, con buona pace di quelli del “ma dove vai in Marocco se non hai mai visto Mantova”oppure “vuoi mettere la cultura e la gastronomia che abbiamo qui da noi?”.

Chissà perché ogni volta che immagino certi dialoghi, nella mia testa, risuonano sempre con uno strano accento milanese. Che poi è tutto vero, per carità, ma solo che io per sentirmi in vacanza devo almeno farmi tre ore di boeing747. Lo scriveva anche Guccini: ”l’ aereo è davvero saltare il fosso”, ricordando i misteriosi antenati emigrati in Argentina. Ora prendetevela con lui se ne avete il coraggio. Bisogna dire che inevitabilmente l’estate del covid ha minato uno dei due pilastri rimasti. Certo nessuno mi avrebbe impedito di andare in Grecia o Spagna se avessi voluto, ma poi il rischio del contagio, i nonni a casa, i sensi di colpa… insomma i dubbi che abbiamo avuto tutti noi che abbiamo scelto per una volta l’Italia, giustamente. Quindi come impiegare queste 2 settimane di ferie?

Trovare l’ispirazione

C’è un indicazione stradale vicino casa mia. Credo ce ne siano molte nella zona dove sono nato, la Tuscia laziale. L’ avrò guardato almeno mille volte, sempre più incuriosito dai piccoli forellini lasciato dal fucile di qualche cacciatore frustrato che dall’ indicazione in se stessa. Recita a grosse lettere bianche su sfondo marrone “VIA FRANCIGENA”.So che è qualcosa relativo al camminare ma di cosa si tratta? Chiedo a Siri. Dalla nostra “discussione” viene fuori che un certo Sigerico, arcivescovo di Canterbury, nel 990 d.C sia uscito dalla sua cattedrale per farsi un giretto a Roma e visitare Papa Giovanni XV. Beh, quel percorso che attraversa Francia, Svizzera, ed entra in Italia per il passo del Gran San Bernardo è stato chiamato Via Francigena. Una volta a Roma il percorso si estende per il sud Italia fino ad arrivare all’ estrema punta meridionale della Puglia, Santa Maria di Leuca, dove un tempo partivano i crociati per andare ad ammazzare con la sicurezza di chi è dalla parte dei buoni. In un attimo fu tutto deciso. Chiamo David, l’ unico a cui poter proporre una cosa del genere.Cerco di prenderla alla larga.

“ Man ti piace il mare?” gli chiedo.
“Certo che mi piace.”
“La Puglia?”
“Cosa dovrei avere contro la Puglia?”
“Camminare?”
“Beh se non c’ è mezzo migliore…”
“Che ne diresti di farci da Bari a Santa Maria di Leuca a piedi?”
“Mi sembra una fantastica, stupida, idea geniale.”
Dopo due ore avevamo già in tasca i biglietti per Bari Centrale.

EQUIPAGGIAMENTO
  • 3 magliette di cotone
  • 2 pantaloncini provvisti di tasche
  • Infiniti calzini e mutande
  • 1 camicia (perchénon si sa mai)
  • 1 pezzo di sapone di Marsiglia per il bucato e non
  • 1 ago per bucare le vesciche
  • 1 tenda da campeggio
  • 10000 compeed
L’arrivo a Torre a Mare

Scendiamo alla stazione di Bari alle 13, tre giorni prima di ferragosto e suscitiamo da subito un discreto clamore. I villeggianti sugli scogli, in estati da relax, non riescono a darsi una spiegazione del nostro camminare sotto quel caldo torrido. La quechua legata sopra il mio zaino trasforma la mia ombra in una grossa tartaruga nera sul lungomare di granito mentre usciamo di città. Siamo in periferia oramai e di cartelli o indicazioni per la via Francigena nemmeno l’ ombra. Sarà una costante fino a Brindisi. La periferia di Bari è davvero brutta. Capanne diroccate e abbandonate e poi ancora rioccupate. Passiamo davanti un campo rom davvero poco rassicurante, chiedendoci se la nostra idea di accamparci in spiaggia ogni notte sia davvero la scelta giusta. Una volante dei carabinieri accosta e ci indica di fermarci. Confusi dal motivo del nostro viaggio ci controllano i documenti sospettosi e poi ci lasciano andare, come si lascia andare un bambino capriccioso.

Abbiamo calcolato di dover compiere 30 km al giorno per arrivare alla meta in meno di 2 settimane. Ci siamo già lasciati alle spalle la periferia e davanti appare la silhouette sensuale di Torre a mare. Azzurro e senape i colori di questa parte di mondo, ce ne accorgiamo da subito. Odori salmastri di pesce e di alghe sulle reti stese al sole ad asciugare, poi barchette di legno rovesciate nei piccoli porticcioli e vecchi antichi sulle sedie di plastica fuori dei ba a giocare a scopa. Seduti a terra mentre ci sbrodoliamo con un’anguria decidiamo di passare la notte qui. Accamparsi in spiaggia è chiaramente illegale, ma con qualche trucco e un po’ di accortezza non è impossibile da fare. Usciamo dal centro del paese, dirigendoci verso le spiagge meno affollate e aspettiamo il tramonto. Troviamo una caletta perfetta per il nostro scopo, ben riparata dalla vista sulla strada. Con il favore della notte apriamo la tenda e i sacchi a pelo, addormentandoci cullati dalle vibrazioni dell’Adriatico.

Da Nola a Bari e Polignano

Non sono nemmeno le 7 che già il sole picchia sul nylon della quechua amplificando il calore al suo interno. La zip si abbassa e il mare si schiude davanti a noi. Il mare della mattina calmo e sonnacchioso scarica sul bagnasciuga onde leggere ed indispensabili, attento fino a quel momento a non svegliarci troppo bruscamente. Pieghiamo i sacchi con poca voglia sapendo già di non poter fare colazione prima di 7 km, prima di arrivare a Nola a Bari. Le prime due ore di cammino sono paradossalmente sempre le più difficili, il sole è ancora basso e il riverbero della luce sul mare rende difficile tenere gli occhi completamente aperti. Caletta dopo caletta, passo dopo passo, percorriamo chilometri in silenzio. Prendiamo un piccolo sentiero lontano dalla spiaggia e ci arriva incontro un signore del luogo. Ci offre una bottiglia d’ acqua e ci rincuora spiegandoci che per un buon caffelatte al vetro come lo fanno qui manca solo 1 chilometro.

È strano come nelle situazioni di difficoltà anche una piccola cosa faccia una differenza totale sullo stato d’ animo. Mi prometto di non dimenticarlo dopo che ripartiremo. Camminiamo a lungo seguendo la ciclabile che ci porta fuori da Mola a Bari fino a che il cemento non sparisce di nuovo per far posto a campagne poco battute e cieli più blu. Ci spogliamo lanciandoci in mare, contenti poi di poter riposare un paio d’ ore sotto una capanna di tronchi portati lì dalla marea, forse apposta per noi, o almeno cosi a me piace pensare. Fa meno male in quel momento tutto quello di spaventoso che c’ è la fuori, e anche quello che abbiamo dentro.

Ospiti in una spiaggia privata di Polignano

Ci risvegliamo alle 3 sapendo che, mantenendo un buon passo, saremmo a Polignano prima che faccia buio. Domenico Modugno è nato qui, molti anni fa, ma chissà se ora riconoscerebbe ancora quella spiaggia mitica circondata da case a picco sulla scogliera e oramai invasa dai turisti. Mi chiedo se il caffè speciale con scorza di limone e amaretto che fanno qui lo bevesse anche lui, magari dopo pranzo, prima di scrivere “cosa sono le nuvole”. Ad ogni modo grazie di tutto Domenico. Mangiamo una pizza in centro e cerchiamo un posto dove piantare la tenda. Seguiamo un sentiero sulla costa delimitato a sinistra dalla scogliera e a destra da un muro a secco di rocce bianche e calcaree che circonda una villa enorme. Dopo una cinquantina di metri il muro sterza bruscamente verso l’ entroterra, a sinistra la scogliera si allarga verso il mare, rubandogli spazio e facendosi pianeggiante.

Una signora in topless saluta il sole che andava a schiantarsi dietro l’ orizzonte. Ci guarda con lo zaino dicendoci che avremmo potuto accamparci lì per la notte, nessuno ci avrebbe disturbato. Poi senza aggiungere altro si alza ed entra in una porticina laterale all’ interno della villa, lasciandoci alquanto perplessi.

Il fuoco sotto le suole: Monopoli, capitolo e Santo Stefano.

Il giorno seguente non avemmo pace sin dal mattino, era il 14 agosto. Attraversammo cittadine invase da turisti come Monopoli e Capitolo fino ad arrivare oramai verso sera in un campeggio dalle parti di Santo Stefano. Finalmente una doccia e dei lavandini dove poter immergere i numerosi calzini maleodoranti accumulati. La miglior notte di ferragosto da parecchi anni a questa parte. È bastato solo un po’ di profumo di pulito e il silenzio dei pini marini nella notte dolceamara di salsedine. Il sole sull’ asfalto brucia le suole a queste latitudini.

Decidiamo di non camminare più nell’ intervallo tra le 12 e le 3 per cercare di mantenere una sorta di sanità mentale. Le sieste all’ ombra di olivi secolari diventano una routine e piano piano, entrambi, senza accorgercene, ci ammaliamo dolcemente del male del pellegrino. La malattia dove passo dopo passo le distanze non contano più e il tempo si dilata. La frenesia scompare e ciò che conta è solo camminare. I problemi appaiono più semplici da risolvere e il circostante più a misura d’ uomo. La malattia dove il superfluo non esiste e si ritorna bambini fino a che si ha ancora la forza di muovere le gambe.

Oltrepassiamo un resort dalle parti di Rosa Marina e sistemiamo la tenda poco dietro una duna di sabbia. E’ finalmente giunta l’ ora di spolverare le camicie. Ci presentiamo all’ ingresso della spiaggia privata e il guardiano ci scambia per dei residenti, lasciandoci passare. Una bottiglia di Primitivo basta ad ubriacarti quando cammini 30 chilometri al giorno. Prima di essere riconosciuti e cacciati ce ne torniamo in spiaggia, al nostro fortino Dechatlon, che ci aspetta ancora una volta tranquillo sotto le stelle. Il giorno seguente camminiamo senza sosta. Non essendoci un vero paese tra Rosa Marina e Brindisi avevamo deciso di passare la notte nella riserva naturale di Torre Guaceto.

La battaglia di Torre Guaceto

Ora in ogni avventura che si rispetti arriva il momento in cui l’ uomo, inteso come genere umano, deve inevitabilmente scontrarsi con le forze della natura. Essendo la nostra un’avventura sgangherata, la natura ha scelto di porci di fronte un avversario apparentemente domabile, la zanzara pugliese. Abbiamo sottovalutato il nemico e come in un film scritto male ne siamo usciti malconci. Arrivammo nella spiaggia della riserva verso la solita ora, le 7 più o meno, mentre gli ultimi villeggianti ripiegavano asciugamani ed ombrelloni noi buttavamo gli zaini a terra. La cena c’era, panino con la mortazza previdentemente acquistato qualche ora prima ad un alimentari, cosa poteva andare storto?

Ci gettammo in acqua passandoci a vicenda un tocco di sapone di Marsiglia che oramai veniva più utilizzato per l’ igiene personale che quella del bucato. Mi sdraiai sul bagnasciuga aspettando il tramonto mentre David mi lasciava intuire l’ urgenza dei suoi bisogni fisiologici prendendo un rotolo di carta igienica dallo zaino.

Controluce, mentre l’ aria si faceva rossa, vedo una zanzara posarsi sul mio polso. La guardo infilzarmi con avidità, ma mi sento talmente in pace con il mondo che la lascio fare, dovrà pur sfamarsi anche lei. Poi ne arriva un’altra e le scaccio gentilmente. Un pizzico improvviso sulla caviglia. Ahia. Ma tu guarda queste zanzare pugliesi, gli dai un dito e si prendono la mano. Mi volto a destra e vedo sulla mia spalla il padre ciccione della prima zanzara con la madre e le due figlie. Succhiano tutti. In men che non si dica sono circondato. Mi alzo di scatto mulinando le braccia all’ impazzata. Poco lontano sento David urlare, è stato attaccato proprio nel momento più vulnerabile. Mi corre incontro senza mutande urlandomi di montare la tenda. Butto a terra i picchetti e slaccio le cinte con un ronzio forsennato nelle orecchie.

Finalmente riesco ad aprire la zip richiudendocela alle spalle e dopo aver schiacciato quelle entrate con noi ci sentiamo finalmente al sicuro. Le guardiamo, enormi e fameliche ,sbattere sulle pareti della quechua mentre mangiamo il panino, sghignazzando complici , come solo sa fare chi pensa di averla scampata. Ma si ride sempre troppo presto nei film scritti male o sbaglio? La notte un gran prurito ai piedi e al braccio sinistro mi sveglia di soprassalto. Mi giro e guardo David grattarsi furiosamente il braccio destro e l’ alluce.

“Ma cosa cazzo è?” gli chiedo.
“Sembrano pizzichi ma le avevamo uccise tutte”.

Accendo la lampadina, ma di zanzare nemmeno l’ ombra. Improvvisamente avverto un dolore acuto sulla mano che avevo appoggiato sul bordo della tenda. Vuoi vedere che… Stupiti e spaventati ci rendiamo conto che riuscivano a pungerci anche da fuori nelle parti del corpo a contatto con il nylon. La natura aveva vinto ancora. Ci raggomitolammo in posizione fetale riuscendo finalmente a chiudere occhio per qualche ora.

spiaggia con dune
La resa verso Lecce

La mattina, dopo che David ebbe ritrovato gli slip persi durante l’ attacco, ci incamminammo verso Brindisi. Arrivammo in città verso le 3, fermandoci a mangiare su una panchina. Ci guardammo, ritrovando negli occhi dell’ altro la stessa stanchezza. Nessuna camera disponibile a meno di 300 euro. La scure del ferragosto infine colpiva anche noi. Erano ormai più di 10 giorni di cammino, 10 giorni senza un materasso, 10 giorni dormendo a terra. Senza dircelo capimmo di non averne più. Ci gettammo nelle campagne dirigendoci verso Lecce. Ora diventava davvero difficile trovare un posto dove passare la notte, tra cani randagi e contadini sospettosi. Cominciava a far buio e questa volta eravamo davvero senza idee. C’ era un vecchio casolare ad un centinaio di metri, mi feci coraggio e suonai. Un uomo sulla quarantina si affacciò sulla soglia, scrutandoci accigliato.

“Chi siete”?
“Buonasera” risposi, ”siamo due pellegrini in cammino lungo la via Francigena e cercavamo un posto dove passare la notte.”
Il suo volto si schiuse in un sorriso.
“Venite pure in giardino ragazzi”.
L’ intera famiglia uscì da quel vecchio portone di legno duro e scrostato da sole. Sua moglie ci offrì dell’ acqua, mentre uno dei bambini ci guardava incuriosito indossando una vecchia maglietta dell’ eterno Chevanton.
“Non possiamo ospitavi in casa” si scuso’ il marito , “ma potete piantare la tenda nell’ uliveto qua dietro, vi prometto che nessuno vi disturberà’”.

L’amicizia è il viaggio più bello

Arrivammo a Lecce la sera seguente fermandoci a mangiare in un piccolo ristorante in centro e contemplando l’ inaspettata bellezza di questa città. Una città di pietra gialla argillosa, che lascia a mezz’ aria una polvere di luce calda, come una dolce nebbia del sud. Il treno per Roma partiva alle 22. Ricordo che guardai David seduto di fronte a me ad occhi chiusi, nel vagone silenzioso delle fermate fuori dal tempo, e mi sentii meno solo. Poi mi addormentai anche io. Pensai ad un amico che continua ad ispirarmi. Pensai che è bello averti qui. Pensai che mi dai ancora la forza di sbagliare, cercando di fare la cosa giusta.

Testi e foto di Nazzareno Consalvi
Foto copertina di Valentina di Miccoli

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Redazione the trip
The Trip Magazine nasce agli inizia del 2010 a Roma per proporsi come punto di vista alternativo al modo convenzionale di viaggiare. Siamo uno spazio virtuale per la promozione della cultura del viaggio e dei suoi protagonisti. Amiamo la natura e i paesaggi, la storia ed i monumenti, ma prima di tutto amiamo le persone e le dinamiche umane che si celano dietro di esse, a tutte le latitudini del mondo.