Di Federica Araco
Battute dai venti in inverno, arse dal sole in estate, le isole maltesi sono piccole e ricche di storia, come gioielli antichi e preziosi. Questo estremo lembo meridionale dell’Europa, infatti, conserva ancora oggi tracce profonde del suo passato, tra templi megalitici, antichi apiari punici e saline di epoca romana tuttora in uso. Si narra, inoltre, che in una grotta dell’isola di Gozo abitasse la ninfa Calypso, che ammaliò Odisseo con la sua bellezza
TAPPA 1 – MIELE
Da Melliħa Bay, inerpicandosi per le stradine in salita, tra cespugli di macchia mediterranea, pale di fichi d’India e muretti a secco dai profili sinuosi, si raggiunge un ampio spiazzo pianeggiante. Poco più in alto, la sagoma squadrata del Forte Sant’Agata, noto come Red Tower per il colore delle sue mura, svetta imponente dal 1649, controllando la costa Nord dell’isola. Poi lo sguardo, facendosi largo tra i rami di pino marittimo, nel digradare di orti e piccoli giardini, cerca riposo tra le acque cristalline del golfo di Ghadira, oggi riserva naturale.
Ad accogliermi sotto un sole cocente c’è Arnold Grech, uno dei più importanti produttori di miele di Malta. Sguardo curioso, appena offuscato dalle spesse lenti degli occhiali da vista, e due mani robuste sempre in attività, quest’omone di più di settant’anni, appassionato beekeeper qui conserva gelosamente parte delle sue arnie. «Ho scelto questo posto perché è al riparo dai venti e lontano dal traffico cittadino» spiega, facendomi accomodare sui pancali in legno dove intrattiene con i suoi racconti scolaresche locali e turisti venuti ad assaggiare il dolce nettare delle sue api. «Ne producono otto tipi diversi, a seconda del periodo: tra ottobre e novembre quello di carrube, a dicembre di asfodelo, a gennaio di borragine, a febbraio di trifoglio rosso, a marzo di mostarda bianca, ad aprile di fiori d’arancio, a maggio e giugno di timo selvatico e tra luglio e agosto di eucalipto».
Con il passare degli anni le api sono diventate le sue amanti, scherza Arnold, che a loro si dedica ininterrottamente «dal primo settembre al 31 agosto» facendo per questo spesso ingelosire la sua paziente moglie. Ironico e gioviale, ma senza mai perdere quella compostezza gentile, vagamente british, caratteristica della sua generazione, mi invita a osservare più da vicino quel microcosmo complesso e affascinante, che descrive con la spontanea meraviglia di un bambino.
«L’alveare funziona secondo regole molto precise. Gestirlo significa sorvegliarne lo sviluppo in base alla stagione e alle condizioni ambientali, incentivando la sovrapproduzione di miele». Imparo che ogni colonia è costituita da un’ape regina, da molte operaie (femmine sterili), dai fuchi (maschi) e dalle larve. «Per sopravvivere e garantire la riproduzione la colonia deve accumulare un surplus di cibo durante la bella stagione e in inverno ridurre al minimo la popolazione per consentire al resto della comunità di nutrirsi».
L’osservazione costante dei cicli di vita dell’alveare, in oltre quarant’anni di intensa attività, ha spinto Arnold a una conclusione: la capillare organizzazione delle api è ispirata a principi fortemente economici.
«Si tratta di una struttura gerarchica dove ciascuno svolge un compito ben preciso per il bene di tutti. Le operaie vivono al servizio della comunità e spesso muoiono lavorando o proteggendo l’alveare. Lo scopo dei fuchi, invece, è fecondare la regina. Quest’ultima, appena nata, uccide le sorelle più piccole perché in ogni colonia può essercene una sola. Infine, ogni elemento non produttivo viene soppresso per non sprecare cibo e rischiare di compromettere la sopravvivenza del nucleo. Sembra crudele, e forse lo è, ma è la legge della natura, che ha in sé una saggezza antica, immutata da millenni e funzionale al mantenimento della specie».
Oltre all’uso alimentare, come dolcificante e come ingrediente di molte ricette della cucina tradizionale maltese, il miele è noto anche per le sue proprietà curative.
«Aiuta a calmare le infezioni respiratorie, è utilissimo contro le allergie e nella cura del diabete, soprattutto infantile. Inoltre, è un alimento così ricco e completo da contenere il nutrimento necessario all’essere umano non solo per sopravvivere, ma anche per raggiungere un pieno sviluppo fisico e mentale», racconta Arnold, che sull’isola è conosciuto anche per le sue ricerche scientifiche in materia.
Con il volto coperto da un buffo cappello velato e immerso in una nuvola di fumo, estrae a mani nude uno dei telai in legno disposti orizzontalmente all’interno dell’arnia. Lo osservo a distanza ravvicinata, ammaliata dall’eleganza dei suoi gesti calmi e ipnotizzata dalla sua voce rassicurante e dal costante ronzio di sottofondo. «La forma esagonale della sezione delle celle all’interno dell’alveare è perfetta perché ottimizza la quantità di cera necessaria alla sua costruzione, senza sprechi».
Resto qualche minuto in silenzio, come assistendo all’apertura di uno scrigno prezioso, accarezzata da un delicato scirocco e inebriata dall’odore del timo selvatico, della salsedine e della resina dei pini che incorniciano l’orizzonte come piccoli batuffoli scomposti.
Prima di congedarmi, Arnold mi invita ad assaggiare il miele di fiori d’arancio, fresco di produzione. Un liquido denso, dal colore dorato, delicatamente profumato e al gusto leggero, rinfrescante, non eccessivamente dolce, impreziosito da sottili note agrumate: una vera delizia, per gli occhi e per il palato.
TAPPA 2 – SCIROCCO
Sulle orme di Calypso – Proseguo il mio viaggio salpando verso Gozo. Seduta sul ponte del traghetto rileggo assorta alcuni versi dell’Odissea, immancabile compagna e guida preziosa dei miei peripli mediterranei.
«Un’isola circondata da vaste acque, là in mezzo al mare. Selvosa è l’isola, una dea vi ha la sua dimora […] è la figlia di Atlante». Il riferimento è alla ninfa Calypso, che ammaliò Odisseo con la sua bellezza trattenendolo per sette lunghi anni nel suo viaggio di ritorno verso Itaca. Molti sostengono che qui si trovi la grotta dove lei viveva.
Più piccola di Malta, da cui dista sole sei miglia marine, quest’isola conserva ancora la sua natura rurale con ritmi lenti, cadenzati dall’alternarsi delle stagioni, e uno stile di vita semplice e tradizionale. Adagiata tra acque cristalline, che la cingono penetrandone le numerose baie e insenature di roccia e nelle quali protende i suoi estremi lembi sabbiosi, Gozo è quieta e silenziosa come una fanciulla addormentata.
La pietra calcarea delle sue case, consumata dai venti, si accende di una luce dorata all’ora del tramonto, avvolgendo le strade e le piazze di un’atmosfera onirica e sospesa.
Questi colori caldi, i tronchi nodosi degli alberi d’ulivo al di là dei bassi muretti a secco mi ricordano l’amata Terra d’Otranto e quella sensazione di immobile attesa tipica del Sud che rende ogni altrove un luogo per me accogliente e familiare. «[…] vivo ormai nelle cose che i miei occhi guardano | divento ulivo e ruota d’un lento carro | siepe di fichi d’India | terra amara dove cresce il tabacco», scriveva il salentino Bodini ne La luna dei Borboni. Mi addormento sussurrando i suoi versi.
TAPPA 3 – SALE
L’oro bianco di Gozo – Il campanile della cattedrale mi richiama dalle braccia di Morfeo scandendo il tempo con regolari rintocchi. Dopo aver bighellonato pigramente tra le banchine del porticciolo con un pastizz bollente in mano, decido di spostarmi verso Nord, vicino Marsalforn, per visitare le antiche saline di Xwejni, risalenti all’epoca romana.
Lungo la strada, proprio davanti ai vasconi, un vecchietto vende l’oro bianco di Gozo confezionato in deliziosi sacchetti di juta. Mi fermo per chiedergli informazioni e scopro che, oltre al commercio al dettaglio, quest’uomo da cinquant’anni si occupa della produzione di sale, insieme alla moglie e alla figlia. Il loro lavoro si svolge da maggio a settembre, racconta il signor Emmanuel Cini, quando le elevate temperature e l’assenza di precipitazioni agevolano il processo di evaporazione.
«Il calore solare dissolve la parte più sottile e leggera dell’acqua marina, mentre la componente salina resta sul fondo, pronta per essere raccolta e conservata», mi spiega. «Fino a pochi decenni fa la strada che portava fino a qui era strettissima e consentiva appena il passaggio per il nostro asinello, indispensabile per trasportare i pesanti sacchi di sale verso il centro abitato», ricorda con un velo di malinconia. I Romani scelsero questo tratto di costa per la sua particolare conformazione, piana ma sufficientemente elevata rispetto al livello del mare, per poter scavare diversi vasconi e collegarli tra loro con canalette dove l’acqua veniva un tempo immessa manualmente. «Oggi il sistema è stato modernizzato grazie all’utilizzo di pompe meccaniche», racconta Emmanuel, «ma la raccolta è ancora manuale, come centinaia di anni fa».
Stregata dall’intensità degli elementi naturali presenti in quel luogo, provo a immaginare come doveva essere in passato quella stretta mulattiera, incastrata tra il Mediterraneo e il ripido costone di roccia giallastra alle mie spalle. Arsa dal sole, battuta dai venti e dall’incessante scalpitio di asini dal passo incerto sotto cesti ricolmi di candidi granelli.
MALTA IN 12 PUNTI
UNO
I Greci chiamavano Malta Μελίτη (Melitē), che significa dolce, per l’abbondante presenza di api e di miele (μέλι). Secondo alcuni, invece, il nome deriva dall’antica parola fenicia malit, montagna.
DUE
Si pensa che i Fenici furono i primi a introdurre a Malta l’addomesticamento di api in alveari e vasi di terracotta. Ancora oggi è possibile trovare resti di apiari punici e alcuni di questi sono tuttora in uso.
TRE
Fino al 1950 il miele veniva raccolto tutto in una volta, il 26 luglio, in occasione della festa di Sant’Anna. Chi non possedeva alveari propri usava alberi e muri per appendere i vasi, chiudendoli da un lato in modo che le api entrassero dalla parte inferiore. Oggi è diffuso il metodo standard britannico.
QUATTRO
Le varietà di miele più diffuse sull’isola sono il millefiori, chiamato così perché prodotto dai diversi tipi di fiori primaverili, quello di timo selvatico, che cresce al Nord di Malta e a Comino, e quello di eucalipto.
CINQUE
Il nettare dorato è usato in molte ricette maltesi, in accompagnamento al tipico formaggio di capra o per la preparazione di dolci e biscotti, alcuni di chiara ispirazione araba.
SEI
L’ape regina nasce da un uovo fecondato identico a quello da cui nasce l’operaia, che però viene sistemato in una celletta speciale. Nella fase larvale sarà nutrita esclusivamente con pappa reale che, alterando il suo DNA, le consentirà di diventare regina. Nell’alveare è molto facile individuarla perché è circondata da molte api operaie che la nutrono e la proteggono e ha un addome più lungo della media.
SETTE
La nuova regina nasce per sostituire la precedente in caso di morte o quando, malata e anziana, abbandona l’alveare sciamando. A una settimana di vita, spicca il volo nuziale raggiungendo il punto in cui si riuniscono i maschi (fuchi), e si accoppia con molti di loro, assicurando, così, una maggiore diversità genetica.
OTTO
Dopo l’inseminazione i fuchi muoiono poiché il loro apparato riproduttivo viene completamente distrutto durante l’accoppiamento e anche perché hanno assolto la loro funzione naturale.
NOVE
Si pensa che Calypso abitasse in una grotta affacciata sulla baia di Ramla, a Gozo. Nella zona non ci sono case perché i locali credono che al suo interno sia rimasto imprigionato lo spirito di Odisseo, che di notte emetterebbe terribili lamenti.
DIECI
La produzione di sale marino ha una tradizione molto antica a Gozo: le saline trovate a Xwejni, vicino Marsalforn, di epoca romana, sono tutt’ora in uso. Anche i Cavalieri sfruttarono questa ricchezza: poco più a Nord, lungo lo stesso tratto di costa, costruirono altri vasconi che, a differenza dei precedenti, di forma quadrata, sono rotondi.
UNDICI
Il sale prodotto a Gozo è naturale e non trattato, di grana più grossa o più fina a seconda delle condizioni atmosferiche e della salinità dell’acqua marina.
DODICI
Attualmente, la produzione dell’oro bianco di Malta è destinata al solo commercio locale. Solo due famiglie a Gozo, infatti, continuano a dedicarsi a questo antico e faticoso mestiere, e non riescono a competere con i ritmi frenetici del mercato globalizzato.