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illustrazione di Nakarin Jaisue | nakarinn.tumblr.com

Le mani sono unite, la testa inclinata lievemente, le labbra sorridono. «Sawadee kha». È il saluto che pronunciano le donne. Sawadee khrap quello pronunciato dagli uomini. In Thailandia funziona così. Rispetto, gentilezza e sorrisi a non finire, ti accolgono in questo modo i thailandesi, è il loro modo di fare, è il loro modo di essere.

Non importa se stai per entrare al Wat Phra Si Sanphet ad Ayutthaya, dove un tempo era custodita l’enorme statua del Buddha ricoperta da duecentocinquanta chili d’oro rubato poi dai birmani, o in un bar di Bangkok per assistere a un incontro di Muay Thai tra bambini di otto anni. Uomini e donne ti saluteranno sempre in questo modo, quasi con reverenza.

È il retaggio di un popolo con una cultura millenaria che negli ultimi trent’anni ha dovuto fare i conti con quelli che sono i tempi moderni. Una Bangkok sorvolata da un nuovissimo skytrain e una Bangkok colorata ancora dell’arancio dei monaci che pullulano per le strade della città. Una Thailandia fatta di miti e leggende ma soprattutto di storia dove si fa fatica a dimenticare il vecchio Siam, tanto che in molti si riferiscono al proprio paese ancora con questo nome. Una Thailandia ferita dall’ormai rinomato turismo sessuale che richiama ogni anno migliaia di persone, una Thailandia cosmopolita, moderna dove oggi sono i Lady Boy a fare la passerella sul ring durante i combattimenti di thai boxe.

La Thailandia che abbiamo voluto raccontarvi noi di the trip è la vostra. Quella fatta di piccole curiosità che racchiudono un mondo, quella che ti cattura e non ti lascia più andare via. A partire dal reportage firmato da Cedric Arnold che ci guida all’interno del tempio di Wat Bang Phra, sulle sponde del fiume Nakorn Chaisi, tra i monaci buddhisti che incidono i loro disegni sulla pelle delle persone utilizzando ancora il punteruolo o una canna appuntita. Sono gli artisti del Sak Yant, il tatuaggio thailandese ritenuto magico o terapeutico, garante di energia positiva e fortuna.

Massimo Morello, esperto in tutto ciò che riguarda il Sud Est asiatico, ci racconta di Koh Samet, il luogo che rappresenta al meglio la visione romantico pop-nazional-popolare thai, in quanto scenario del Phra Aphaimani, uno dei poemi più amati dai thailandesi, scritto a cavallo tra Settecento e Ottocento da Sunthorn Phu in cui si racconta la storia di un principe esiliato in un regno sommerso che, grazie all’aiuto di una sirena, riesce a raggiungere proprio l’isola di Koh Samet.

Seguendo il fiume Mekong scoprirete il Triangolo d’oro, un’aerea senza confini geografici precisi ma compresa tra Birmania, Laos e Thailandia, nella quale ancora oggi convivono numerose comunità tribali dedite soprattutto alla coltivazione dell’oppio. Scordatevi la Chiang Mai di cui avete sentito parlare, perdetevi tra i mercati galleggianti della capitale thai, assaggiate qualche cavalletta fritta e state attenti alle immagini che rappresentano Re Rama IX, hanno tutte una cosa in comune.

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