di Andrea Esposito
foto di Massimo Nicolaci | massimonicolaci.com
per Davide
«Era una cosa entusiasmante che lui, Arthur Fidelman, in fin dei conti figlio del Bronx, camminasse in mezzo a tutta quella storia. La storia era misteriosa, un ricordo di cose sconosciute, da un lato oneroso, dall’altro un’esperienza inebriante. Esaltava e deprimeva: non sapeva perché, sapeva solo che eccitava la sua mente più di quanto fosse bene per lui»
Bernard Malamud, L’ultimo moicano
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UNO
Se divento cieco questa è l’ultima cosa che voglio vedere. Con una bracciata teatrale gli indica il Pantheon. Un cameriere. Corpo secco e nervoso. Brutta pelle. Qualcosa di fiero. Lui sorride, lascia la mancia e se ne va dal ristorante. Ha una specie di affanno. La bocca amara del vino cattivo. Pensa a Morte a Venezia. Se muore lì nessuno lo riconoscerà. Magari gli rubano i documenti. Resterà come una statua al centro di una qualsiasi piazza bellissima. Gli viene sempre più spesso in mente. Che morirà in Italia. Una profezia che si è fatto da solo. Un inciampo da cui la mente non si sposta. Arriva a Largo Argentina. Al centro i ruderi. I romani ci vivono intorno a tutte queste rovine. Un gigantesco piazzale di rovine. Come i fori. È successo ieri, ai fori, che il suo viaggio è cambiato. È stato il caldo. Sapeva che avrebbe fatto caldo. Agosto, Roma. Lo sapeva. Ma nessuno gli aveva detto come fosse quel caldo. Un vento immobile e melmoso. Un sudore di febbre. All’improvviso ha avuto paura di impazzire. O di morire. È uscito dai fori. Camminando immerso in quel caldo come in un liquido. E qualcosa che ieri è andato via non è ancora tornato. Forse ha cominciato a impazzire. Non era preparato a questo. A tutte queste rovine. Tutti questi avanzi intoccabili intorno. E a questo caldo fluido e fermo. A piazza Venezia si è come perduto. Sapeva dov’era, ma si sentiva un niente in mezzo a un maestoso niente. I palazzi nuovi e i palazzi vecchi ugualmente distrutti. Non era preparato a questo. Malamud non l’aveva preparato. Prima di arrivare modellava l’Italia sui racconti di Malamud. Specialmente la serie di Fidelman, e specialmente L’Ultimo Moicano, il primo. Dove Fidelman arriva in Italia con il primo capitolo della sua tesi su Giotto. Incontra uno strano individuo, Susskind, che diventa il suo persecutore. Gli ruba la tesi e lo costringe a restare in Italia.
Cammina per Via dei Giubbonari. Lo struscia gente ubriaca. Non riesce a togliersi quel sapore dalla bocca. Una piccola chiesa conficcata in fondo a una piccola piazza. Tutto ammonticchiato, tutto sovrapposto. Un gruppo di americani come lui. Spagnoli cantano mentre vanno verso Campo de’ Fiori. È poco più grande di loro ma è molto più vecchio. Perché è qui? Perché poteva essere carino, come gli ha detto qualcuno quando ha raccontato la sua idea: una piccola vacanza in Italia per staccare dalla tesi di dottorato. Ma la tesi è su Malamud, e così la vacanza è anche un pellegrinaggio. Sorrideva: Sperando di non incontrare il mio Susskind. Ma il suo persecutore è questo sentimento che non sa capire. Arriva a Campo de’ Fiori, un boato strisciante di voci. Turisti dappertutto. E lui è uno dei turisti. Come ai Fori. Quegli sciami di turisti che camminavano lenti storditi dal sole. Camminano e guardano, non capiscono, si perdono. E lui è come loro. Entra in un bar per bere qualcosa. Gli ci vogliono dieci minuti per arrivare al bancone. Tutti bar per turisti. Tutti bellissimi e finti. Quando sta per ordinare si rende conto che non sa cosa prendere. La ragazza lo guarda e lui le chiede il primo cocktail che gli viene in mente. Sa che sarà ubriaco alla fine del bicchiere. Mentre esce pensa alla cameriera che ha conosciuto ieri. Era carina e lui per attaccare bottone ha parlato bene della città, come se stesse facendo i complimenti a lei. E lei ha detto: Qui ami tutto, pure quello che ti fa incazzare. E questo non è giusto. Un amore sciocco, pensa. Si siede sotto la statua di Giordano Bruno. Cori di ubriachi. Una chitarra. Non sa cosa gli succede. Non sa perché è qui. Si chiede se qualcuno leggerà la sua tesi. Se finirà mai la sua tesi. Guarda in alto ma la città emana troppa luce. Non si vede una stella. Questo posto morto che ospita e ingloba senza accettare. Un ossimoro immane. Tutto finto e così vero. Guarda tutta questa bellezza che gli parla di morte. In fondo alla piazza qualcuno strilla, c’è una specie di rissa. Gli si chiudono gli occhi. Sente puzza di sudore. E poi guarda due figure e le segue con lo sguardo. Due ragazzi italiani. Uno, più bello, cammina con una rosa in mano. Dietro l’altro imbraccia un mazzo di rose. Ogni tanto il primo si stacca e va da una turista. Attacca bottone e le dona la rosa. Ci parla un po’. Se lei non gradisce, dopo qualche battuta saluta e se ne va. Torna dal suo amico, prende una rosa dal mazzo e ricomincia il giro. Guarda i due italiani aggirarsi per la piazza e gli succede qualcosa. All’improvviso tutto quanto è chiaro. Capisce tutto. Vede tutto. Sa che parte ha la finzione, che parte ha la verità. Non ha più nessun dubbio davanti a sé. È sicuro e fermo. Ma non ne farà nulla di quello che realizza ora. E dimenticherà il senso di quello che ha compreso qui in un istante. Lo liquiderà come una sbronza colossale. Ripenserà a quel vino orrendo. Non ricorderà mai cosa annuncia questa sua chiarezza. Già l’ha dimenticato. Ma il tempo di questa chiarezza è adesso. Adesso che sente questa cosa sedimentarsi in lui. Come un taglio che genera qualcosa, invece di dividere. Adesso è tutto perfetto. Ora è al posto giusto. Partirà domani.
DUE
È entusiasmante. Ma solo se ci fa caso. L’acquedotto serpeggia sopra di lui. È storia e lui ci cammina in mezzo. Ma è una storia misteriosa. Un ricordo di cose sconosciute. È al Mandrione. L’acquedotto è immenso e morto. Esaltante e deprimente. Percorre via Casilina Vecchia. Sta andando a pranzo da sua madre. La casa a Piazza Lodi dove è cresciuto. Ora abita a Torpignattara. Il caldo è un vento immobile e melmoso. Ha sceso una piccola rampa di scale. Poi un breve tunnel. È passato sotto un arco dell’acquedotto e ora cammina per via Casilina Vecchia. Case basse e giardini. Spiazzi abbandonati, recinzioni. La degradazione qui ha qualcosa di antico. Abbandono silenzioso e impassibile.
Passa davanti a casa di Marco. Erano amici tanti anni fa. Lui entrava in quella casa, quasi ogni pomeriggio, e ne usciva la notte. Adesso percorre la stessa strada che faceva al suo ritorno. All’epoca il Mandrione era più desolato. Una solitudine minerale. Lui arrivava come arriva adesso in fondo a questa strada, dove un piccolo ponte passa sopra una ferrovia. Non ci ha mai visto passare un treno. All’altezza del ponte i cani cominciavano ad abbaiare. Non riusciva a vederli. Aveva paura, era solo, era buio, i cani intorno. Aveva passato il pomeriggio a fumare e a giocare ai videogiochi. Con Marco stavano davanti allo schermo finché non erano troppo fatti per tenere gli occhi aperti. E quando usciva lo aspettavano i cani nel buio. Il primo ponte era un traguardo. Se passava era un po’ più salvo. E quelle notti, come adesso, passava.
Arriva alle case più avanti. Squadrate e di un colore di sabbia morta. Il Mandrione è un solo lungo ponte. Da una parte c’è Torpignattara, la Prenestina, il Pigneto. Dove le case hanno qualcosa di raffazzonato, e la gente sembra tenere insieme tutto e impregnare le cose. Pelli e odori a ogni angolo. Dall’altra parte del Mandrione inizia un’altra Roma. Piazza Lodi e Villa Fiorelli, la loro indolenza residenziale. Teste di pietra urlanti dalle facciate di palazzi d’epoca. Il Mandrione è una pausa. Una pausa che lui attraversa. Anche tre anni fa. Una festa all’Init. Ha cominciato a ridere insieme a lei. Sono usciti fuori nella notte e lui le ha toccato la mano e si sono baciati. Sono andati verso casa di lui. Era estate. Hanno percorso il Mandrione, all’inverso di come lui lo percorre adesso. Ridevano e si fermavano per baciarsi. I cani non hanno abbaiato. Tutto intorno era quella stessa pausa. Erano soli. Ci sono affondati dentro e ne sono riemersi. Da lì la città intorno sembrava un materiale buio e molle. Vedevano il cielo. Sono riemersi dal Mandrione ed è stato come riempire una casa vuota.
I cani erano scomparsi. Quella notte più delle altre notti. In tutti quegli anni i cani non li ha mai visti. Tranne uno. Ne ha visto soltanto uno, una volta sola. Era un ragazzino. Esce da casa di Marco. Più avanti, poco prima del ponte, un cane sbuca lentamente da una rete di ferro. Come in una specie di parata. Lo guarda. Lui si ferma. È solo. Il cane lo fissa. Corpo secco e nervoso. Ha qualcosa di malato. Il respiro, il pelo. Restano immobili. Il cane non abbaia. Non si muove. Lui guarda il cane e il cane diventa reale sotto i suoi occhi. Come un risveglio. E dentro di lui nasce una paura nuova. Cresce tanto che diventa un sasso al centro della sua pancia. Il sasso non se ne andrà più via. E lui lo sa mentre prende posto dentro di lui. E poi il cane volta la testa e torna dietro la recinzione. Lentamente, come dissolvendosi. Lui riprende a camminare. Affretta il passo. Si volta indietro per vedere se il cane lo segue. Sente il proprio respiro. Come se un altro respirasse al posto suo. Arriva al secondo ponte. Dove c’è il tracciato di un’altra ferrovia. Scavalca. C’è un pendio scosceso. Si siede sull’erba. È invulnerabile. La paura al centro della sua pancia è una cosa solida. E non se ne andrà più via ma lui è invulnerabile. E c’è l’odore dell’estate e della terra e la sua paura appena nata non gli farà nulla. Sente il respiro rallentare. Il suo respiro convivrà con quella paura. E la sua forza nascerà da quella paura. È sul pendio scosceso della ferrovia dove non passa nessun treno.
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Esergo da: Il barile magico, minimum fax, p. 198
Il titolo viene dalla frase di Giordano Bruno: “Colui che vede in se stesso tutte le cose è al tempo stesso tutte le cose”
Andrea Esposito è nato a Roma il 24 aprile 1980. Ha collaborato con la rivista di critica cinematografica Close-up. È sceneggiatore di alcuni cortometraggi, e cosceneggiatore del film Et in terra pax, per il quale ha anche lavorato come aiuto regista. I suoi racconti sono apparsi su Scrittinediti, Fragmenta, Iquincid, Papernoise Blackbook, Prospektiva, Rapporto Confidenziale, The Trip. Lavora come libraio alla libreria minimum fax di Roma.