“Qui dentro è sepolta una principessa”, sussurra Koi picchiettando con la nocca sulla pietra. Di stupa ne ho visti a centinaia in Birmania, e nessuno che suonasse a vuoto. “Gli stupa non sono tombe”, ribatto io, fresco di letture sull’architettura buddista, “e non ci sono stanze all’interno”. Koi piega la bocca di lato, come fa quando qualcosa non gli torna: il sorriso che ne risulta mi mette quasi soggezione. “Qui dentro c’è una principessa e il nonno del nonno di mio nonno. Con un’arpa”.
Ho conosciuto Koi due giorni fa, al campo nomade sulla secca dell’Irawaddy, il fiume che bagna la valle dei templi di Pagan: mi ha fregato dei soldi mentre scommettevo su Rocket in un combattimento di galli. In verità non mi ha fregato, mi ha vinto, ma ancora oggi non sono sicuro che il combattimento si sia svolto in maniera del tutto regolare.
“Il mio antenato si chiamava Myo ed era un contadino, aveva le mani grosse ma un talento speciale per suonare l’arpa. Un giorno la principessa di Pagan sentì la magica melodia del contadino e abbandonò le sue preghiere per correre dietro a quel suono. Trovò Myo sotto un tamarindo lungo il fiume, e stette ad ascoltarlo per ore. La principessa si dimenticò di tornare a palazzo e Myo si dimenticò di tornare al campo”.
Koi si interrompe e ferma un bambino che cammina con alcune bottiglie di plastica legate sulla schiena. In cambio di una moneta il bambino riempie due vecchie tazze con del liquido bianco. Koi ne porge una a me: “Vino di Palma”, mi dice prima di farlo sparire in gola. “Si raccoglie la mattina e si usa come zucchero, nel pomeriggio invece fermenta e diventa come birra, ma è meglio: aiuta l’immaginazione”. Il sapore è acido e dolce allo stesso tempo, e una volta sceso nello stomaco scalda. Rinato, Koi prosegue la storia: “Myo e la principessa erano come ubriachi di vino di palma ma in realtà erano solo ubriachi d’amore”.
Ma come tutte le storie d’amore che si rispettino, anche quella di Myo era ostacolata da qualcuno: “Mia figlia con un contadino? Mai!” tuonò il Re. E così ordinò che Myo fosse ucciso, ma la principessa gli gettò le braccia al collo e promise che non l’avrebbe lasciato mai. A questo punto del racconto Koi si toglie il cappello dei Chicago Bulls e si pulisce il sudore con la manica della camicia sdrucita. “Il Re in pochi minuti fece erigere uno stupa attorno ai due, minacciando la figlia di sigillare la costruzione per sempre. La principessa non si mosse dal suo abbraccio e il Re fu costretto a chiudere lo stupa con dentro i due amanti e l’arpa. “Quello stupa è questo dove sei appoggiato ora”.
D’istinto mi stacco dal muro di pietra, e quasi cado a terra, barcollando per il troppo vino di palma. “È una bella leggenda”, borbotto.
Koi a quel punto fa il suo sorriso con la piega della bocca e lentamente appoggia le mani alla pietra. Poi accosta l’orecchio allo stupa e chiude gli occhi. Faccio lo stesso. Sento il ruvido della pietra contro il mio viso. Ascolto.
Un’arpa birmana suona un’incantevole melodia d’amore.