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di Eleonora Mainella e Marta Malatesta | foto di Signý Sif Sigurðardóttir

 

On this Island

Look, stranger,
on this Island now
The leaping light
for your delight discovers,
Stand stable here
And silent be,
That through the channels
of the ear
May wander like a river
The swaying sound of the sea.
Here at a small field’s ending pause
Where the chalk wall falls
to the foam and its tall ledges
Oppose the pluck
And knock of the tide,
And the shingle scrambles
after the sucking surf,
and a gull lodges
A moment on its sheer side.
Far off like floating seeds the ships
Diverge on urgent voluntary errands,
And this full view
Indeed may enter
And move in memory
as now these clouds do,
That pass the harbour mirror
And all the summer
through the water saunter.

W.H.Auden 1937  

 

M: Solo dopo essermi seduta sul sedile di spugna numero quindici – fila F ho capito che il mio sogno stava finalmente per realizzarsi: quell’aereo ci avrebbe portate dritte dritte in Islanda! Per quanto si faccia non si è mai davvero pronti ad un viaggio verso quest’isola vicinissima al Circolo Polare Artico, con condizioni  meteorologiche estreme, che custodisce meraviglie naturali imparagonabili. Io e la mia migliore amica E., nonché migliore compagna di viaggio, dopo essere atterrate all’aeroporto di Keflavík, che dista 50 km dalla capitale, abbiamo affittato una macchina ed è stato così che è iniziato il nostro tour intorno a tutta la costa dell’Islanda. A causa del sonnifero che prendevo per combattere l’insonnia dovuta alla troppa emozione ho soltanto un vago ricordo dei primi tre giorni ma sul mio quaderno si legge: “Saltello tra nerissimi deserti di lava e fiori di cotone, cerco di catturare con Holga montagne dai colori vibranti e casine bianche con il tetto rosso che esistono solo nei disegni di un bambino…”

E: Arriviamo a Reykjavík,”baia fumosa”, chiamata così per via del vapore sprigionato dalle bocche geotermali, e qui ci riposiamo dopo più di cinque ore di viaggio. Il giorno dopo iniziamo il nostro roadtrip attraverso la costa occidentale. Búðir è la nostra prima tappa, una splendida chiesa nera tra le colline e il mare. Sempre sferzate da un vento indomabile, ci riempiamo gli occhi di questa strana terra, patria dei Vichinghi, in cui, a dispetto di ogni logica, acqua e fuoco convivono in armonia. Per scaldarci un po’ ci fermiamo a Hellnar, mangiando una deliziosa zuppa di aragosta servita in tazza, proprio quello che ci vuole per ammirare meglio il porto di questo paesino con i pescherecci attraccati e la spiaggia di ciottoli neri e bianchi. Trascorriamo la notte in un campeggio, è tutto inconsueto, tra colori e sapori così diversi da mischiarsi in una sensazione di pura bellezza. Riprendiamo il viaggio e arriviamo al nord, sorprese da una pioggia improvvisa, lo sguardo sempre catturato dal paesaggio, dall’oceano e da quella muschiosa natura, da curiosi cavalli, piccoli e robusti, che pascolano liberi. Attraversiamo Akureyri, la seconda capitale, rimanendo a bocca aperta nello scoprire che qui la luce dei semafori è a forma di cuore.

M. Direzione sud: Seyðisfjörður, una splendida città che si affaccia sul lago, alle spalle una cascata che toglie il fiato. Tetti e lampioni sono di colori flou: siamo impazzite! Da qui in poi l’Islanda è come una torta (forse aggiungere “a strati” lo renderebbe più chiaro?), il paesaggio cambia continuamente. Ruscelli, cascate, laghi e un mare tempestoso coronato da scogli neri con in cima un faro pieno di solitudine. Ancora spiagge scurissime tagliate da strade impercorribili. Tutto quello che stavamo vivendo era veramente troppo per il mio cuore, tanto da sentire il bisogno di piangere. Poco dopo arriviamo a Vatnajökull, che è la calotta glaciale più grande del mondo, dopo i poli, ed è proprio lì, in quello spettacolo, che mi sono persa tra gli altri pezzi di ghiaccio.

E. Deserto di lava frastagliato da alture che assumono le sembianze di volti. Una montagna particolarissima: due visi scolpiti nella pietra sembrano troll che si baciano. La leggenda vuole che quando venne la luce essi si pietrificarono. Si racconta infatti che i troll escono dalle loro caverne solo dopo il tramonto e al sopraggiungere dei primi raggi solari scompaiono, tornando nelle proprie dimore umide. L’esposizione diretta ai raggi del sole, infatti, potrebbe trasformarli in pietra e di lì a poco farli scoppiare! Molti di questi troll pietrificati sono ancora oggi visibili tra le ombre delle maestose foreste nordiche. E ora eccoci a Kirkjubæjarklaustur nel nostro bungalow, grande, con tanti letti e il bagno (questo è un vero lusso). Il cielo è stupefacente, mai vista una volta così stellata. Sempre verso sud, il cielo nuvoloso a tratti si rischiara, camminiamo su un sentiero a picco tra le montagne… sobbalzo: c’è una piccola piscina naturale geotermica. In questo angolo incontaminato l’Islanda mi dona il suo cuore ed io le dono il mio, liberandomi dalle paure e dai vestiti, incurante del freddo e del vento, grido felice facendo il bagno insieme alla mia compagna d’avventura, come una sirena folle che ha ritrovato se stessa.

M. Dopo aver vissuto e catturato ogni minimo pezzetto del perimetro dell’Isola, stravolte, torniamo finalmente a Reykjavík. Come benvenuto la città ci regala “La Notte Bianca”: l’evento più cool dell’anno. Assistiamo al concertino degli FM Belfast e dei múm tra i palazzi illuminati da lucine gialle e blu. Centinaia di ragazzi distrutti dall’alcool, sdraiati sui marciapiedi, vengono soccorsi da appositi volontari, riconoscibili da un giacchetto giallo. Ho una strana visione notturna di quella città, animata da volti così diversi dai nostri: sguardi penetranti e inquietanti sorrisi. Il giorno dopo, con il sole, cambia tutto: case dai colori accecanti, shop dalle vetrine particolarissime, pezzi d’arte in ogni angolo, creatività che emerge ovunque. Le persone hanno unocstile unico al mondo: scarpe esclusive, abiti vintage ma ultramoderni e pettinature stravaganti, quasi circensi! È davvero la città giusta per ricevere stimoli, per ispirarsi e per ricaricarsi!

E. In questa surreale atmosfera, ci ritroviamo nel cimitero più vecchio della città, Hólavallagarður, sotto una pioggerellina finissima. Le tombe nelle vecchie rocce, il muschio, gli alberi maestosi. Solo il rumore dello scalpiccio dei nostri piedi sul terreno pieno di foglie. Lì, con gli occhi spalancati, mi guardo intorno e penso agli affetti che porto con me in questa visita, celebrando insieme a loro e per loro questa strana giornata. Il giorno dopo partiamo per Þingvellir, dove nacque nel 930 l’ Alþingi, la più antica assemblea parlamentare d’Europa. La zona è importante dal punto di vista storico, ma anche geologico. Infatti la dorsale medioatlantica, che divide la zolla tettonica americana da quella europea, dopo essere affiorata nella penisola dello Reykjanes, diventa qui ben visibile. La spaccatura, delimitata da alte pareti di basalto, si allarga di 3 cm l’anno, e continua da sud-ovest a nord-est attraversando tutta l’isola. Il sentiero che si snoda lungo il canyon principale permette così un’incredibile passeggiata sospesa tra due continenti: l’americano e l’europeo. Qui, tra enigmatici cartelli di divieto, si trova il ruscello dove furono annegate molte donne accusate di stregoneria, o condannate per la loro scelta di libertà sessuale. Visitiamo poi le cave nelle montagne. Quasi più nessuno si ricorda di questi luoghi e c’è una strana atmosfera, quasi fossimo circondate dagli spiriti delle persone che vi hanno abitato. Ci sono nomi scritti ovunque sulle rocce nere e noi scriviamo i nostri servendoci di un rudimentale scalpello. Al momento di andarcene via spunta l’arcobaleno più grande e splendido splendente che abbia mai visto.

M. Il posto per me più sorprendente e magico dell’Universo è Geysir. Una zona geotermica formata da rocce liscissime, ricoperta da pozze con acqua calda e fumante dai colori trasparenti, modellate da innumerevoli sorgenti calde: i mitici Geyser! Non riesco a smettere di ridere nel guardare lo spruzzo d’acqua che proietta lo Strokkur, un Geyser capace di creare colonne d’acqua bollente alte fino a venti – trenta metri ogni cinque, sette minuti. Sarei voluta rimanere per ore ad ammirare questo folle spettacolo della natura che sembrava arrabbiata con noi. Costrette ad andare via da quel luogo psicopatico, percorriamo ancora diversi chilometri con la macchina, dove approfitto per rubare qualche minuto di sonno prima che una luce bianca mi tagli gli occhi. Guardo fuori dal finestrino e vedo dei massi con delle porticine rosse e turchesi disegnate. “Un giorno il buon Dio vestito da viandante bussò alla porta di una piccola casa e chiese ospitalità. Venne accolto molto bene da questa famiglia numerosa ma poverissima, che non aveva la possibilità di vestire e curare tutti i propri figli. I genitori, vergognandosi, presentarono solo la metà di questi. Dio li trovò amabili e, ben sapendo che avevano altri figli, chiese alla donna dove fossero, ma lei negò. Dio disse loro ‘Ciò che è stato nascosto a me verrà nascosto anche agli occhi degli estranei’. Da quel momento i bambini nudi e sporchi diventarono invisibili, Dio gli diede dei fiori per vestirli e non patirono più il freddo. I bambini invisibili crebbero ed ebbero altri figli, facevano del bene agli uomini, ma senza farsi vedere e, talvolta, si divertivano a far loro qualche scherzo. Gli uomini invisibili vennero battezzati come Elfi. Essi diventarono gli spiriti della natura e intervenirono per contrastare le azioni irrispettose degli uomini verso la natura”. Tuttora se si chiede ad un islandese se crede negli Elfi lui dice che non ci crede, ma non nega l’esistenza di esserini invisibili! Dopo questa leggenda sconvolgente torno a dormire.

Consigli: Pellicole fotografiche a volontà. Spirito di adattamento per il tempo imprevedibile. Kway e sacco a pelo. Un quaderno per scrivere , per poterlo rileggere in seguito e domandarsi se sia realmente accaduto. Se nell’aria sentite odore di ammoniaca non vi preoccupate: è la balena che è stata messa a macerare prima di essere gustata. Dedichiamo questo articolo a Otto Oddlaug Árnadóttir, che ci ha permesso di realizzare il nostro sogno. Aprite gli occhi e il vostro cuore, solo così riuscirete a capire questa terra orgogliosa e ricca. E poi niente sarà più come prima!

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Redazione the trip
The Trip Magazine nasce agli inizia del 2010 a Roma per proporsi come punto di vista alternativo al modo convenzionale di viaggiare. Siamo uno spazio virtuale per la promozione della cultura del viaggio e dei suoi protagonisti. Amiamo la natura e i paesaggi, la storia ed i monumenti, ma prima di tutto amiamo le persone e le dinamiche umane che si celano dietro di esse, a tutte le latitudini del mondo.