Ombre nella nebbia
testo di Rose Cormon | fotografie di Cristina Vatielli – cristinavatielli.com
Mi lascio Roma alle spalle, pesante più per quello che ho visto che per le responsabilità che ho acquisito.
Sono Arcivescovo, questo pallium che mi veste lo dimostra, di una Chiesa che vorrebbe toccare il cielo ma che in realtà ha i piedi ben saldi su questa terra.
Le colonne di ogni singola casa di Dio che ho visitato, le stesse che prima appartenevano a una fede falsa e bugiarda, hanno radici conficcate in questo mondo, che dovrebbe essere attraversato solo con la leggerezza della nostra anima.
E al mondo, si sa, le radici non bastano: si è preso lo stelo e ora non si vede più neanche il fiore. Abbiamo chiodi ai nostri piedi, gli stessi che hanno condannato il figlio di Dio, svelando la sua natura umana. Perché è qui che vuole stare, qui e ora, e non nel cielo per l’eternità. Il Papa, ogni singolo Vescovo e Cardinale e tutte le famiglie patrizie romane ambiscono al potere temporale di questa potenza spirituale.
Quattro mesi per attraversare le millecentosei miglia che separano Canterbury da Roma, e dopo tre giorni fuggo. Partendo da San Pietro, decido di raccontare il mio ritorno per indicare ai nuovi che verranno le strade, gli ostacoli, gli ospizi, i paesi e le chiese più belle. Una guida che permetta di raggiungere facilmente la città e che altrettanto facilmente agevoli la fuga. Mi vengono in mente le parole di Giovanni Crisostomo, noto, come testimonia il suo nome, per la sua splendida eloquenza, quando cercò di opporsi alla prima associazione creata dai Vescovi sotto Costantino, le samaritane. Questa associazione aveva il compito di ospitare le persone che venivano a visitare Roma, fino ad allora accolte in alloggi privati.
Disse appunto Crisostomo: «Non create questi xenodochia (case per stranieri)! Assegnando il dovere di comportarsi in questo modo a un’istituzione, i cristiani perderanno l’abitudine di riservare un letto e di avere un pezzo di pane pronto in ogni casa, e le case cesseranno di essere delle case cristiane». Venne così a mancare quello spirito di libertà che, secondo Gesù Cristo, era l’essenza della carità, sostituito dal tentativo di gestire questo amore con la sua istituzionalizzazione, trasformandolo in legge. E nello stesso tempo la Chiesa poté dare un fondamento giuridico e morale alla sua sete di denaro. Sono passati circa seicento anni e ormai si è arrivati addirittura a uccidere per questo.
Oggi il cammino del pellegrino è reso meno rischioso per l’evidente povertà, simbolo della sua scelta di vita, ma queste strade, che riempiono gli occhi della perfezione del Creato e della grandezza dell’uomo, nascondono anche bassi esempi di umanità. Nove tappe ho fatto finora, sono ad Acquapendente e sto per entrare in Toscana. Una lunga discesa tra boschi e ruscelli per poi risalire fino a Proceno, attraversare San Casciano dei Bagni per uscirne puliti e raggiungere Radicofani.
Sembrava bello il tempo alla partenza, ora il cielo si abbassa, la visuale si accorcia e tutto si fa meno nitido. Una nebbia fitta mi avvolge, perdo i miei compagni di viaggio e due voci contrastanti mi parlano. La prima giunge dal passato e mi invita ad attendere in questa oscurità invocando colui che amo, perché «Se mai lo vedrai o sentirai in questa vita, sempre sarà in questa nube e questa oscurità».
La seconda voce, più vicina, più reale, mi chiede chi sono e dove sto andando. Mi giro in direzione di quel suono e una figura si staglia dalla nebbia. Parla una lingua simile al latino che fatico a comprendere, veste gli abiti del brigante ma pare di nobile stirpe.
Non sembra né morto né vivo. Passato, presente e futuro abitano in quest’uomo, un leggero terrore mi coglie. Chi sono e dove vado è presto detto, ma chi mi trovo davanti?
«Sono colui che si opporrà al giogo della tua Chiesa su queste terre, progenitore di Pio VII, condannato e perdonato in vita per le mie gesta, signore di Radicofani, reso immortale nei versi dei due sommi poeti. Sono Ghino di Tacco, il brigante buono, e ti invito con la forza nella mia rocca».
Mentre lo seguo mi accorgo che le misure della mia percezione sono modificate: lo spazio da percorrere è tutto intorno a me, sono immobile e le immagini mi avvolgono come in un vortice. Se avessi il coraggio di voltarmi probabilmente mi rivedrei all’infinito ripetere i miei passi. Il tempo è invece una retta interminabile e scorre veloce durante il percorso ma si interrompe quando parliamo, per permettere al nostro dialogo di protrarsi all’infinito. Qui dove sono la Chiesa non ha potere sul tempo dell’uomo, in questa dimensione onirica è la mia guida che comanda e la curiosità di conoscere il perché di questo viaggio prende il posto della paura.
Avvolti in questa nube attraversiamo come fantasmi Radicofani fino a raggiungere la Rocca. Un lampo di sfida attraversa lo sguardo di Ghino mentre mi invita ad affacciarmi e io osservo da quassù la strada che mi ha portato fino a Roma.
Vedo pellegrini e mercanti assaliti dai briganti, vedo colonne di eserciti che portano sul petto il simbolo di Cristo già tinto di quel sangue di cui si andranno a macchiare. Vedo Papi che fuggono, cercando di modificare i confini della loro Chiesa espandendoli sul mondo invece che innalzandoli verso il cielo. Riesco a riconoscere menti povere ricoperte da ricche vesti e menti scaltre con poveri panni che otterranno grandi poteri. Tutto inizia e finisce con Roma, ma lo sguardo di Dio è rivolto altrove, poiché questa realtà non può coincidere con la sua presenza, con la sua giustizia. «Se vi accompagnassi, non fosse che per un momento, vi sterminerei » (Esodo 33, 3 e 5).
Mi chiedo se mai riusciremo a vedere dietro la ragione la passione del giusto, dietro la scienza che tanto condanniamo la sete del vero, e dietro la critica che presto o tardi ci condannerà per le nostre gesta la ricerca del meglio.
Improvvisamente una fiera attraversa il cammino con la sua preda stretta tra le fauci. Non c’è orrore nei gesti più crudeli della natura, così come non c’è errore nella ribellione. Ora ho compreso il significato di questa deviazione durante il mio viaggio. Ritorno sui miei passi. Ghino procede al buio, un lume alle sue spalle fa luce sul mio cammino. All’improvviso sono di nuovo avvolto dall’oscurità, ma mi basta sollevare le palpebre per riconoscere immediatamente ciò che mi circonda. Sdraiato sotto un albero, ho di nuovo il mio seguito accanto a me: siamo pronti per ripartire.
Abbiamo ancora molta strada da percorrere, tante tappe da registrare, strade, ostacoli, ospizi, paesi e chiese. Ma questa interruzione, questo mio viaggio nel viaggio, non lo troverete nei miei diari, perché spero che ognuno di voi possa viverlo personalmente, e non solo su questo tragitto, ma durante tutta la propria vita, se il vostro animo sarà predisposto ad affrontarlo.
tappa n.15: da Acquapendente a Radicofani
In questo racconto, la tappa numero quindici, non viene percorsa in senso romeo in quanto si basa sul racconto di Sigerico che ripartito da Roma si dirige verso Canterbury, decretando l’entrata del vescovo nella regione Toscana.
Lasciandosi quindi Acquapendente alle spalle si trovano punti di ristoro con acqua: al Ponte Gregoriano, Proceno e a Ponte a Rigo.
Lunghezza Totale: 31.8 chilometri
Percorribilità: a piedi oppure in mountain bike
Tempo di percorrenza a piedi : 7.00 (ore minimo)
Dislivello in salita: 352 metru
Dislivello in discesa: 752 metri
Quota massima: 780 metri
Difficoltà: Impegnativa
Strade pavimentate: 51%
Strade sterrate e carrarecce: 49%
Mulattiere e sentieri: 0%
Ciclabilità: 100%
Come arrivare al punto di partenza: Stazione FS di Chiusi e autobus Autolinee Ferroviaria Italiana (0578-31174)