di Veronica Gabbuti
foto di Francesco Iervolino
“Butta via quella sigaretta. Fumare, per una donna, è una vergogna”.
Ahmad si rivolge a me senza neanche guardarmi in faccia, con un tono di voce impercettibile, solenne nella sua lunga tunica bianca e perfetta e la kefiah annodata a mo’ di turbante, come si usa qui, nel deserto del Wadi Rum. È chiaro che lo sto disturbando, che non gli interessa parlare con me, che è diverso dai beduini invadenti e febbrili che ho incontrato a Petra. Improvvisamente i pantaloni tecnici che indosso, le scarpe da trekking, la guida che stringo in mano, il profumo del duty free e l’arsenale tecnologico che mi porto dietro mi pesano, mi soffocano. Sono sgraziatamente europea, mentre lui è impeccabile nella sua terra rossa e silenziosa.
Ahmad è un beduino e con i suoi fratelli ha costruito un campo nel Wadi Rum in cui se vuoi vivi come loro, se no te ne vai.
In passato per i beduini l’unica attività considerata degna di un uomo era la guerra, ma lavorare con il turismo (pur sempre disprezzando i turisti) rappresenta oggi una valida alternativa.
Verso sera, nel campo, tento di capire – facendo qualche timida domanda – la ragione di tante differenze tra loro, nomadi del deserto al confine tra la Giordania e l’Arabia Saudita, e gli altri beduini, che per trecento anni hanno vissuto all’interno delle cave tombali della città di Petra e che oggi sono stati trasferiti da un governo coscienzioso nel villaggio di Oum Seyhoun.
“Mi offendi, con questa domanda. Quelli non sono beduini, quelli non sono come noi”.
“Ok. Spiegamelo. Voglio sapere perché voi siete così dignitosi e perché loro lo sono così poco”. Ho detto la frase giusta, ora siamo amici.
“Prima di tutto, noi amiamo e preserviamo la nostra terra, loro bruciano plastica nelle tombe. Noi portiamo lunghe tuniche come i nostri Padri, per non lasciare impronte sulla sabbia e conosciamo i nomi dei nostri antenati fino a venti generazioni indietro, mentre loro non hanno storia. Non ce ne andiamo in giro su asini sporchi e rumorosi, cavalchiamo solo cammelli o cavalli e li trattiamo con cura. Non trucchiamo gli occhi di nero per sembrare più belli, quella è roba da donne. E le donne occidentali come te non ci interessano”.
“Ahmad, scriverò un articolo su di te una volta tornata in Italia. Parlerò del Rum Star Camp, delle vostre tradizioni, di tuo fratello Salem che fuma troppe sigarette, del tè alla menta con la salvia, di come cucinate il mensaf con la brace sotto la sabbia, del tramonto, delle mille candele con cui illuminate le montagne per far luce sul campo, della luna piena, degli scarabei, del caldo torrido, del freddo gelido e della sabbia che ti spacca la bocca. Ma non so come farti leggere quello che scriverò”.
“Miss, contattami su facebook. O sul nostro sito, rumstars.com. Siamo beduini, ma è il 2012”.
Mi accendo una sigaretta e sorrido.