Conta solo camminare
testo e foto di Giona Peduzzi
Con il pollice faccio girare la fede attorno all’anulare e con un gesto deciso la faccio scivolare via dal dito. Leggo all’interno la data che ho aspettato per quasi un anno e che ora vorrei cancellare per sempre. Il rombo di una vecchia Cadillac mi fa alzare lo sguardo verso il Malecòn, la passeggiata più romantica e allo stesso tempo triste che si possa fare sulla terra. Il sole è così basso che il mare si tinge di rosso e i corpi dei cubani sul marciapiede si colorano di giallo.
“Changó es peligroso” mi sussurra una donna alle spalle.
Voglio starmene da solo, ma sembra impossibile a Cuba. La donna mi prende il polso e io chiudo il pugno, per difendere l’anello.
“Changó es el Dios de la guerra y la destrucción”.
Mi divincolo e faccio qualche passo superando un bambino che pesca nudo. Mi giro: mi segue.
“Su esposa se ha ido”, mi dice non appena mi raggiunge.
Che ne sa di mia moglie? Non ho fatto nemmeno in tempo ad imparare a chiamarla così che già se ne è andata.
“Su esposa está con Changó” mi sussurra avvicinandosi al mio viso. Gli occhi sono bianchi e non mi guardano, la pelle è piena di rughe e l’alito puzza di rum e sigaro. I capelli sono avvolti in uno straccio bianco: è una Santera. Che ne sa una vecchia cieca di mia moglie e di quello che se la sta sbattendo sulla spiaggia di Varadero?
“Io non vedo” mi dice “ma vedono le mie conchiglie, e vede la mia anima”.
Nemmeno una settimana è durato il matrimonio. Fino a che non sono tornato prima dalla partita di beach volley nel Villaggio. Non si è scomposta, non ha urlato. E nemmeno io l’ho fatto. Mi ha chiesto di andarmene e di chiudere la porta. Ed io ho chiuso la porta e me ne sono andato. Lasciandola nuda con quell’uomo sopra di lei.
Mi sono fatto qualche bicchiere di rum, poi bottiglie intere. E alla fine ho pianto. Poi ho vomitato.
“Nella vita non bisogna aver paura di camminare, anche se non si vede più la strada, anche se si è da soli”.
Stacco lo sguardo dalla donna e lo faccio scivolare lungo il mare fino al marciapiede.
“Com’è il lungomare questa sera?” mi chiede “Non lo vedo più da tanti anni”.
Le parlo del vecchio che vende noccioline e delle sue mani stanche, le racconto dei baci di due adolescenti e di quell’uomo che suona la tromba e del suo cappello buffo. Le parlo delle magliette strette sui seni gonfi e delle canottiere bianche sui fisici scolpiti, le parlo dei palazzi che stanno per crollare e dei pescatori e dei poliziotti.
“Non è cambiato molto” mi dice alla fine “quello che cambia siamo solo noi, se lo vogliamo”.
La vecchia mi bacia le mani e si allontana lungo la curva del golfo. E io resto lì, senza sapere cosa fare. Sento la tromba che suona, il rumore dei baci, le risate e i pianti. Salto sul muretto del lungomare e inizio a camminare. Camminando sorrido. Ad ogni passo sorrido.
E mentre vado nella direzione del sole stringo forte il pugno. Poi lo tiro indietro e lo lancio.
Vedo l’anello brillare un’ultima volta prima di cadere, muto, tra le onde del mare.