C’è un elicottero di lego che ha fatto il giro del mondo. È quello nella valigia di Andrea Nasuto, che insieme al fratello Marco ha dato vita al progetto “Kosmonauts – what does it mean to be Italian?”. Partendo dall’idea che il modo migliore per capire se stessi e il proprio Paese sia allontanarsene, viaggiare, confrontarsi per poi tornare e guardare le cose con occhi nuovi. Attraverso l’Italia, l’Inghilterra e gli Stati Uniti, per analizzare come siamo visti all’estero ma anche per spiegare i fenomeni migratori, l’ondata dei populismi, perfino la vittoria di Donald Trump. Per raccogliere i fondi per realizzare questo docufilm che mostri cosa vuol dire essere italiani, Andrea e Marco hanno lanciato una campagna di raccolta fondi su Kickstarter.
Spiegare cosa vuol dire essere italiani oggi è un progetto ambizioso. Cosa vi ha spinto a intraprendere questa sfida?
Due aspetti ci hanno spinto verso questo lavoro: il primo è l’assenza di una narrazione sull’Italia in cui rispecchiarci. I lavori che abbiamo visto finora hanno sempre giocato su stereotipi, su un terreno vangato e rivangato. Attenzione non è un discorso economico e sociale sull’Italia, il perché le cose non funzionino, il lamentarsi, ‘non ho opportunità’. Ma è più ampio: qual è la visione sul mio futuro e quindi sul futuro di questo paese. Una visione che includa un concetto chiave: i paesi, le cose, il mondo sono connessi. Analizzare qualcosa oggi richiede confrontarsi con il mondo, inevitabilmente. Il secondo aspetto è fare la nostra parte di cittadini. Dare qualcosa indietro, il ‘give it back’ anglosassone. E crediamo che il racconto possa cambiare le cose.
Che approccio avete utilizzato?
Siamo di fronte ad un’ enorme complessità, ad un mondo estremamente stratificato, interconnesso, grigio. Per raccontare, tendiamo a semplificare, a linearizzare in titoli accattivanti di notizie, auto esplicativi. Abbiamo notato che di fronte a questa complessità si sono creati due fronti comunicativi, solo apparentemente lontanissimi tra loro. Il primo è basato sul rifiuto della globalizzazione, il semplificare il mondo spazialmente e nelle sue connessioni economiche. Quindi si sceglie di aggrapparsi ad aneddoti, a casi singoli, a problemi iperlocali per spiegare il tutto. Il fenomeno delle ‘fake news’ nasce proprio da questo. L’altro fronte porta una visione dei grandi centri urbani, un distacco dalle realtà periferiche. Questo è lo stesso fronte che semplifica la complessità con “ (gli altri) sono ignoranti”, “populismo”, portando dati e analisi ma senza disegnarli in un quadro più ampio.Da qui una terza via narrativa che unisca elementi intimi, persone comuni ad uno sguardo estremamente ampio, utilizzando strumenti sofisticati come analisi dei dati con algoritmi e machine learning.
Un luogo comune che avete sfatato?
Diversi. Sulla cucina ad esempio. Il parlare di “tradizione” riferendosi a staticità, all’immagine del museo. La parola tradizione viene dal latino “tradere” che significa “consegnare” e “trasmettere”, ma che è anche all’origine del verbo italiano “tradire”. Citando l’antropologo napoletano Marino Niola “La cucina è tradizione nel senso che è motore di ricerca e di contaminazione.”.
Cosa rappresenta per voi il viaggio?
“Life is the journey” dopotutto no? Un modo di guardare il mondo, sopratutto quando si è fermi, guardare sempre le cose in dinamica, anche quando si fa fatica.
Ogni oggetto in cui ci imbattiamo nel corso di un viaggio racconta una storia. Anche da una spilla si può cogliere un pezzo di identità?
Si. Ma bisogna indagare, scavare, darsi tempo per capire. C’è una sorta di umiltà necessaria alla comprensione che è un’arma che si affina imparando a viaggiare con animo.
Che cos’è il Whole Ticket Bombing?
L’identità abbraccia un tema grosso: l’anonimato. Siamo sempre stati affascinati dal rapporto stridente tra una delle cose più standardizzate ed anonime, un biglietto di viaggio, e le storie dietro di esso. Cosa c’è dietro quel numero seriale?
Un biglietto di viaggio, da quello del pendolare al viaggio della vita, racconta. Queste opere, fatte a mano, sono la traduzione di quei numeri seriali in conversazioni tra gli artisti e le persone dietro i biglietti. Un biglietto ha una precisa data di stampa e validità. E le emozioni dietro un biglietto? Ancora una volta, la logica dietro Kosmonauts: dati ed emozioni. Whole Ticket Bombing è un espressione presa in prestito dallo slang dei graffiti artists. Ci abbiamo giocato attorno: “whole train” (treno intero) – la pratica di spruzzare l’intero treno – diventa “whole ticket” (biglietto intero). “Bombing” (bombardare/mettere bombe), una parola che è immediatamente associata a guerra e terorrismo, nello slang dei graffiti vuol dire: uscire per scrivere. Noi “usciamo” per scrivere testimonianze che viaggiano, su biglietti di viaggio. “Writing” (scrivere) come un’arma contro l’anonimato delle relazioni.
Chi sono i Kosmonauts?
Chiunque può essere un Kosmonaut. Ci piaceva il potere simbolico del cosmonauta, l’esploratore per eccellenza. Lo spazio, luogo pericoloso, infinito, diverso, omnicomprensivo. Un cosmonauta impara a vedere le cose dall’alto e come ogni vero viaggiatore, viaggia dentro se stesso, il luogo più impervio della terra. Noi crediamo che si possa fare un training per diventare cosmonauti della vita. Non fornendo risposte ma ragionare assieme sulle domande, su un taglio inclusivo nel vedere le cose.
Il vostro percorso attraversa l’Italia, l’Inghilterra, gli Stati Uniti, c’è qualcosa che accomuna tutti i giovani che avete incontrato?
Per quanto romantico sarebbe rispondere “si, c’è un tratto”, crediamo di no. Forse, l’unico tratto comune è un senso di precarietà profondo, il più delle volte, inconsapevole.
Cos’è che non manca mai nella vostra valigia?
Andrea: Io porto sempre con me un elicottero della Lego.
Marco: Fondamentale paio di calze d’emergenza. Le calze orfane sono un classicone di ogni viaggio.
La realizzazione del progetto è legata al successo della raccolta fondi che avete lanciato su Kickstarter.Perché è importante realizzare questo docufilm?
Cambiare il modo di raccontarci cosa significa essere italiani, significa immaginarci un nuovo paese, una nuova città, un nuovo luogo di lavoro. Il racconto illumina la realtà e quindi la definisce. E’ la prima forma di resistenza ed è la prima forma di sogno.