«Er giorno de Pasqua Bbefanía, che vviè’ a li 6 de gennaro, da noi s’aùsa a ffasse li rigali»
Giggi Zanazzo, Usi, costumi e pregiudizi del popolo di Roma
Ci limitiamo a credere che si possa viaggiare solo sul piano fisico, materiale. Ci limitiamo a pensare che solo esseri viventi e beni possano muoversi per migliaia di chilometri e siano trasformati da quell’attraversamento. Per essere più precisi, ci accontentiamo di spostarci spazialmente, supponendo che aver conosciuto un posto sia semplicemente esservi stati. Quello che escludiamo, o dimentichiamo, è che la dimensione più ricca del viaggio è soprattutto immateriale, è lo scambio di prospettive che si ha con le altre culture, è l’incontro con nuove usanze e nuovi modi di parlare, è la fusione delle idee e degli orizzonti differenti, è il cambiamento che determina. Perciò, se si allargano le prospettive, tutto è in viaggio o in mutamento, anche le tradizioni popolari (come ha approfondito lo storico Eric Hobsbawm, famoso per Il secolo breve, nel saggio L’invenzione della tradizione). Un viaggio che, in quanto tale, potrà essere sia piacevole che spiacevole.
In questo senso la Befana, nota figura tradizionale italiana, è stata protagonista di un notevole cammino. Il nome deriva dal greco classico Epifàneia (apparizione o manifestazione sensibile di una divinità), dalla versione latina si è arrivati a Pifania o Bifania, quindi Befania e poi Befana. Prima dell’importazione, nel secondo dopoguerra, del Babbo Natale di stampo statunitense, era lei che dispensava i doni delle festività natalizie, giudicando il comportamento dei bambini attraverso la proporzione tra carbone e regali. Ciò crea una correlazione tra la possibilità di elargire doni e la divinità, ma non determina quale sia la manifestazione divina invocata in epoche precristiane e presente nella radice etimologica, né quale rapporto possa avere una vecchia a cavallo di una scopa con la distribuzione dei regali?
La festa della Befana come la conosciamo noi è frutto di un’inclusione compiuta dal Cattolicesimo di una festività pagana preesistente. La ricorrenza originaria era probabilmente dedicata alla Madre Natura, la Mater Magna, e rappresentava la sua fase decadente e morente, che era bruciata o tagliata per poter rinascere dopo l’inverno. Non è un caso che in molte zone dell’Italia del Nord e dell’Europa, nella notte tra il 5 e il 6 gennaio o comunque durante il periodo natalizio, un fantoccio, spesso con fattezze femminili, sia bruciato sopra una pira. Nella città di Goito, in provincia di Mantova, il boriello, la pira con il fantoccio sopra, è ancora celebrato. Alla luce di queste considerazioni, la cenere o il carbone potevano rappresentare originariamente un buon augurio, attraverso un simbolismo di probabile matrice celtica, infatti in Scozia in questo periodo ci si scambia anche carbone, simbolo dell’energia latente della terra, del fuoco e per traslazione della rinascita del sole.
La Chiesa ha cercato di contrastare queste feste pagane, foriere di doni utili a passare l’inverno e atte ad augurarsi il ritorno della primavera. Ha fatto apparire Madre Natura come una vecchia strega, poi ha fatto slittare il significato simbolico del carbone da un ambito positivo a uno negativo, caricando la festività di un valore morale giudicante e legato al comportamento del bambino. Tali cambiamenti culturali non sono serviti però a sradicare un culto che aveva radici profonde, così il Cristianesimo si è visto costretto a includerla tra le sue festività, tanto che fino al 1802 il papa il 6 gennaio riceveva dal Collegio dei novantanove scrittori apostolici la cosiddetta Befana, ovvero una tassa di cento scudi d’oro. La “Befana originaria” è comunque riuscita a sopravvivere, nonostante la Chiesa, il capitalismo e i loro alfieri del Consumo Indotto: Babbo Natale e Gesù bambino.
A noi piace ricordare il suo sapore pagano con le parole del Belli:
Ber vede è da per tutto sti fonghetti
sti mammocci, sti furbi sciumachelli,
fra ‘na battajjeria de ggiucarelli
zompettà come spiriti folletti!
Arlecchini, trommette, pulcinelli,
cavallucci, ssediole, sciufoletti,
carrettini, cuccù, schioppi, coccetti,
sciabbole, bbarrettoni, tammurelli…
Questo porta la cotta a la sottana,
quello è vvistito in camiscio e ppianeta,
e cquel ‘antro e uffizial de la bbefana.
E intanto, o pprete, o cchirico, o uffizziale,
la robba dorce je tira le deta:
e mmamma strilla che ffinisce male.
G.G. Belli, «La matina de Pasqua BBafania», I Sonetti