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Raggiungere l’oceano è sempre un’esperienza unica. I sentimenti rimandano alla parte più primitiva ed esistenziale della condizione umana. Di fronte alle sue acque irrequiete, lo scenario pare immutato nei secoli, l’ignoto sovrasta il rumore delle onde, e ci si sente come arrivati al capolinea. Credo siano queste le sensazioni che accomunano veramente gli esseri umani, a prescindere dalla cultura o dall’ epoca storica in cui essi si trovano. Con un profondo senso di ammirazione non posso fare a meno di pensare a chi con queste acque ha un legame profondo, chi è in grado di leggerne i segnali e si è dovuto confrontare con la sua severità.

La vita dell’Atlantico

Per chi vive in questi luoghi è l’Atlantico a scandire il ritmo delle giornate, e anche per ogni cittadino europeo questo è indubbiamente un luogo di riferimento. È qui che finiva il mondo fino a qualche secolo fa, ed è questo il luogo che dall’invasione delle Americhe favorisce i continui scambi transatlantici che hanno plasmato le diverse culture che oggi conosciamo. Di conseguenza è qui che nascono molte delle storie e dei fatti sulle quali si basa la cultura occidentale.

Atlantide, il grandissimo continente sprofondato migliaia di anni fa, al di là delle colonne d’Ercole, era nelle acque dell’attuale Oceano Atlantico. La corrente del Golfo, che lo attraversa nell’emisfero settentrionale, è di primaria importanza per la vita del Globo. Le anguille del Delta del Po, dove sono cresciuto, compiono un lunghissimo viaggio fino al Mar dei Sargassi, tra le Grandi Antille e le Azzorre, dove si riproducono, per poi ritornare nell’Adriatico. Anche mio nonno Severino lo solcó negli anni Cinquanta, a bordo del transatlantico Auriga, per cercare fortuna in Venezuela. Probabilmente ognuno di noi ha un qualche legame con questo gigante a pensarci bene.

Approdo in Portogallo

È un sabato sera di fine settembre quando parcheggiamo il furgone a Praia da Torreira. L’aria frizzante è tipica di queste coste, e l’odore intenso di pesce, sulfureo, un po’ piccante, e nettamente brillante caratterizza l’oceano da ogni altro mare su cui mi sia mai affacciato.

Ci troviamo a Torreira, in Portogallo, 100 km a sud di Porto, in un paesino infossato tra le dune, lungo il litorale che separa la Ria di Aveiro dal mare (una laguna parallela al mare di 45 km di lunghezza e 11 km di larghezza, utilizzata soprattutto per la produzione del sale). La laguna mi ricorda le valli del Delta, ma dall’altra parte della lingua di sabbia si apre il mare più fiero, perfetto per il surf e per la pesca. È qui dove abbiamo deciso di trascorrere la notte. In spiaggia ci sono pescatori con alte canne che pescano pazienti sulla riva, e in acqua sono visibili due body surfers. Dopo un lungo viaggio, togliersi le scarpe e abbandonarsi a piedi nudi sulla sabbia fredda è sempre rigenerante.

Io e Anna abbiamo raggiunto questo luogo ai confini dell’Europa un po’ per caso. Il nostro girovagare lento a bordo di Bake, un Bedford camperizzato con più di trent’anni, e il richiamo dell’Oceano ci hanno condotti fin qui.

Proveniamo dall’ affascinante valle del Douro; dopo una sosta per pranzo sotto la pioggia di Viseu abbiamo proseguito verso la Bairrada, la famosa regione vitivinicola a pochi km dalla costa. Siamo entrati a Torreira all’imbrunire seguendo la strada statale N327 in direzione sud verso la riserva naturale delle Dune di Sao Giacinto.

La giornata è grigia e la statale poco trafficata. Lungo la strada, nei pressi di Aveiro, ci è impossibile non notare grandi imbarcazioni variopinte a forma di falce di luna, simili a grandi gondole, che sembrano allestire ogni angolo del luogo: in acqua, ormeggiate in laguna o sulla spiaggia deserta, dipinte sulle insegne di bar e ristoranti o addirittura parcheggiate nelle rotonde del paese. Si tratta delle barche utilizzate per l’Arte Xavega, la pratica di pesca tipica del luogo.

La pesca tradizionale

L’Arte Xavega è una pratica di pesca tradizionale che risale a molti secoli fa. In questa zona del Portogallo è chiamata semplicemente “Arte”, al contrario nelle coste Sud prende il nome di Xavega. Questo termine deriva dalla parola araba Xabaka, che significa rete da pesca, ciò dimostra come questa pratica sia databile almeno alla conquista musulmana della penisola iberica. Questa ipotesi è sostenuta dalla diffusione di questa tecnica in Marocco e in altre parti della penisola iberica, come la Galizia e Malaga, dove prende il nome di Jabega.

La tecnica di pesca Arte Xávega è rimasta praticamente immutata nei secoli. Si tratta di una pratica rudimentale, ancora intrisa nel tessuto sociale locale. Essa prevede la stesura di una rete in alto mare, tra i 2 e i 4 km dalla costa. La rete è composta da due maniche, una sacca dove viene raccolto il pesce e da due cavi che tengono le maniche della rete. Una delle maniche è attaccata a un trattore fermo sulla spiaggia, l’altra manica viene tenuta sulla barca dai pescatori. Dopo aver fatto il giro per riempire la rete, la barca torna a riva e attacca la seconda manica a un secondo trattore sulla spiaggia. I due trattori tirano lentamente la rete verso la riva, raccogliendo verso la riva i pesci che si trovano all’interno della rete. In passato questo rito di pesca coinvolgeva intere comunità di pescatori, le operazioni erano tutte manuali e la rete veniva tirata da una giuntura di buoi o addirittura da uomini. Per tirare la rete erano necessarie fino a 12 giunture di buoi, che i pescatori affidavano ai contadini della regione. Quando la forza umana veniva usata per tirare la rete, erano necessarie dalle 40 alle 80 persone.

Il pescatore

Miguel è un uomo sulla sessantina e fa il pescatore a Torreira da una vita. Lo incontriamo casualmente sulla Praia in direzione delle dune di Sao Jacinto, con lui ci sono numerose persone che lavorano attorno alla Senhora de Piedade, una grande imbarcazione Xàvega gialla e viola. L’equipaggio è composto perlopiù da uomini e donne del luogo, i loro volti scuri sono segnati dall’oceano e con le loro mani sapienti mettono a posto delle lunghe reti da pesca. L’atmosfera intorno alla barca è piacevole, e proviamo ad immaginarci il significato delle battute che si scambiano continuamente non smettendo mai di lavorare. A bordo c’è posto solamente per cinque persone, e nonostante sia domenica mattina i marinai durante la prossima ora dovranno uscire mentre le persone a terra assisteranno al rientro di quella che è ancora in mare.

Miguel ci spiega che l’Arte Xàvega può essere praticata solo in acque dove il fondale è sabbioso e su spiagge abbastanza larghe da consentirne le manovre. Si tratta inoltre di un tipo di pesca stagionale che dipende fortemente dalle condizioni del mare. Siccome le barche partono direttamente dalla spiaggia, dovendo affrontare l’infrangersi delle onde, se il mare è troppo mosso diventa impossibile uscire in mare. Questo può accadere anche durante la stagione estiva, ma normalmente il periodo di pesca va da Marzo a Ottobre.

La morfologia di questa imbarcazione è adeguata alle condizioni del mare locale, dove le operazioni di ingresso e uscita sono particolarmente critiche: oltre al fondo piatto, l’imbarcazione ha una prua molto alta e affilata per tagliare le onde e una poppa tagliata per sfruttare lo spot sulla spiaggia e per permettere il tempestivo lancio delle reti. Le imbarcazioni sono dipinte con colori vivaci e accesi, sempre diversi tra loro; oltre a essere motivo di folklore, questo serviva sia ai marinai per avere un riferimento nel grigio dell’oceano portoghese, sia per le famiglie a terra per riconoscere l’imbarcazione dei propri cari.

L’Arte Xàvega è una pesca legalizzata e controllata, tuttavia non essendo una pratica selettiva, è fonte di molte controversie. I pescatori pescano alla cieca, ciò li porta a catturare animali al di sotto delle dimensioni consentite dalla legge; durante questa attività è evidentemente impossibile distinguere il pescato in base all’età, la dimensione o il tipo di pesce. Quando il pesce viene tolto dalla rete, viene separato in base alla taglia e al tipo, quindi posto in piccoli lotti per essere messo all’asta e venduto. Il pescato viene venduto su piccola scala localmente, e spesso, durante la stagione balneare è possibile acquistare il pesce direttamente dai pescatori, non appena arriva in spiaggia. Buona parte del pesce che non può essere commerciato tuttavia viene ributtato in mare. Questa attività è ormai priva del significato che aveva in passato, ma è alla base delle saporite specialità del luogo, tra cui carapau o sardinhas alla brace.

Una tradizione locale centenaria

Penso che questo tipo di pesca costituisca uno stimolo di come sia necessario ripensare le nostre tradizioni per creare un futuro ambientale sostenibile. Se contestualizzata localmente, l’Arte infatti si può considerare un sistema di approvvigionamento alimentare a basso impatto in quanto si pratica su piccola scala, il pescato viene venduto sul luogo, e rappresenta la tutela di una peculiarità culturale delle comunità che abitano le coste atlantiche. Tuttavia è chiaro che oggigiorno (soprattutto) nella ricchezza del mondo occidentale, una pratica non rispettosa del ciclo biologico degli animali andrebbe ripensata.

Queste comunità si sono sviluppate grazie al commercio marittimo di pesce e sale. Tuttavia la storia è testimone di come i continui cambiamenti siano stati cruciali per l’evoluzione dei luoghi che oggi conosciamo. Tra i secoli XVI e XVII ad esempio, l’instabilità del passaggio tra la Ría di Aveiro e il mare, dovuta all’accumulazione di sedimenti, ha portato alla chiusura del canale impedendo l’utilizzazione del porto. Questo evento creò condizioni insalubri, dovute alla stagnazione delle acque della laguna, cosa che provocò una grande riduzione nel numero di abitanti; molti emigrarono, creando altri insediamenti di pescatori sulla costa.

L’Arte Xàvega potrebbe essersi radicata nel villaggio di Torreira proprio a seguito di questo evento, e esserne stata l’economia trainante per secoli, ma tuttavia questa resta solamente un’ipotesi. Quello che è certo è che rappresenta un esempio di come le culture che oggi conosciamo siano il frutto dei viaggi, delle contaminazioni e delle necessità delle varie società che si sono evolute nei secoli. Anzi, è proprio grazie a queste infrastrutture e all’adattamento continuo con le diverse società che esse sono riuscite a rimanere in vita, giungendo fino ai giorni nostri. Per questo motivo, oggi come allora, sarebbe anacronistico immaginare una tecnica di pesca immutabile.

In fondo, non esiste luogo migliore dell’Oceano Atlantico, testimone da oltre 500 anni di scambi ed evoluzioni culturali, dove instaurare un processo di cambiamento.

Testi e foto di Nicola Iafrate