Viaggiando attraverso Tehran – Kashan – Esfahan – Yazd – Shiraz, un’inedita raccolta di aneddoti dall’Iran
Mentre viaggiavo in metro dall’aeroporto verso il centro di Teheran, due uomini di circa 30 anni continuavano a fissarmi. Dopo un po’ ho iniziato ad essere infastidito e ho cominciato a pensare a tutti quelli che mi avevano chiesto se secondo me andare in Iran era sicuro o meno. L’ho sempre considerata una domanda stupida, basata sulla disinformazione e su un eccessivo allarmismo occidentale ma in quel momento, mentre quei due tizi mi fissavano, non ne ero più tanto sicuro. Dopo altri 15 minuti buoni in cui non mi avevano staccato gli occhi di dosso, uno dei due si è alzato ed è venuto verso di me. Mi ha dato la mano e ha detto di chiamarsi Mohammed. In men che non si dica ha iniziato a farmi mille domande sull’Olanda, i nostri costumi e il modo in cui l’Iran è visto nel mio Paese. Mi ha anche invitato a cena a casa sua. Cordialmente ho rifiutato e prima che scendessimo dalla metro mi ha chiesto di aggiungerlo su Facebook. Facebook?!? Ma non era proibito in Iran!?
A Kashan alloggiavo in una graziosa guesthouse. Piccola ma molto elegante e accogliente. C’era la cena inclusa quindi avevo deciso di rimanere a mangiare nel loro ristorante in un bel cortile all’aperto. Intanto, per passare il tempo, mi ero messo a leggere un libro. All’improvviso nella quiete del cortile fa irruzione un gruppo di 9 rumorosi iraniani. Erano 5 uomini e 4 donne. Uno di loro mi si è presentato, ha detto di chiamarsi Babak e solo a sentirlo parlare ha confermato la mia ipotesi che avesse bevuto. Mi ha offerto del cognac da una bottiglia di plastica. Cognac iraniano fatto in casa. L’ho guardato negli occhi abbastanza a lungo da capire che non stava scherzando e ho accettato. Era abbastanza forte. Non so dire se fosse veramente cognac, quello che so è che abbiamo iniziato a parlare: della politica, del mondo, dell’oriente e dell’occidente. A quanto ho capito non erano grandi fan del loro sistema politico.
Ero nella piazza Naqsh-e Jahan di Esfahan, che considero uno dei luoghi più belli del mondo. Mi sono ritrovato in un piccolo negozio di tappeti situato nel bazar che circonda la piazza. Incontro Hamid, che è determinato a vendere almeno uno dei suoi tappeti e per convincermi mi offre del tè. Accetto e finisco per guardare due mucchi di tappeti sempre crescenti: un mucchio che mi piacciono e uno con tappeti che non mi piacciono. Hamid mi prega di essere “arabo per un giorno e comprare qualcosa”, cerco di spiegargli cortesemente che se avessi comprato un tappeto, sarebbe stato uno piccolo, a causa del peso e del viaggio che dovevo affrontare. Allora Hamid si mette una mano sul petto come se la mia osservazione gli avesse spezzato il cuore e inizia a raccogliere i tappeti più piccoli. Passano 15 minuti e sto guardando 10 tappeti da scegliere. Decisioni decisioni. Dopo un’altra tazza di tè lascio il negozio con due tappeti e un portafoglio vuoto.