foto di Enrico Brunetti | enricobrunetti.com
Da Piazza dei Martiri salendo lungo Via Chiaia, tra chiassosi tavolini dei bar e distinte signore che consumano i tacchi davanti alle vetrine, si incrocia la signorile Via Filangieri. Punto di riferimento per le grandi firme interessate ad aprire un punto vendita nel capoluogo campano, questa importante arteria commerciale in pieno centro storico per decenni è stata la méta più ambita dai sarti di tutta la regione desiderosi di lavorare nei più eleganti atelier di Napoli. Tra loro spiccano grandi nomi, come Attolini, Tofani e Rubinacci, oggi conosciuti e apprezzati in tutto il mondo.
Già in età borbonica, qui c’erano infatti i più importanti laboratori di taglio e cucito, dove le antiche tecniche di lavorazione manuale dei tessuti si trasmettevano in lunghi anni di apprendistato. « Napoli è stata per secoli la capitale di un territorio molto ricco e vasto, crocevia di commerci e culture», ricorda il proprietario dell’antico negozio Argenio. Occhi vispi color azzurro intenso, sorriso generoso, questo signore di mezza età ci accoglie nel suo mondo fatto di tessuti e colori dove è ancora possibile trovare gemelli intarsiati, orologi, borse e ventagli in seta che raffigurano stemmi borbonici, oppure camicie, cravatte e giacche, rigorosamente disegnate e confezionate a mano da artigiani locali. « Sono ancora fornitore della real casa di Borbone delle due Sicilie», spiega con un certo orgoglio. « Incoraggiando il gusto per il bello e per il ben vestire manteniamo in vita la cultura dell’eleganza e della signorilità che da sempre caratterizza questa città, valorizzando l’importanza storica del suo glorioso passato».
Nel fitto dedalo di stradine dei Quartieri Spagnoli verso Via Toledo, in un laboratorio di Via Nardones le mani esperte del Maestro Daddio scorrono silenziose lungo le cuciture di una giacca da uomo con la cosiddetta manica a mappina, ‘straccio’ in dialetto. «Questo modello di manica, detto anche ‘ a camicia’, perché comodissimo, inizialmente fu criticato dai sarti d’Oltremanica, abituati a tagli più squadrati di ispirazione militare», ricorda Daddio, «ma ben presto fu apprezzato e usato da personalità di spicco, come Vittorio Emanuele III, il duca di Windsor, Toto’, i fratelli De Filippo e Clark Gable, diventando il simbolo dell’alta moda napoletana».
I capi da uomo, in particolar modo le giacche, nello stile partenopeo devono essere innanzitutto comode, spiega Daddio, senza mai perdere eleganza e ricercatezza. «Cucire un abito è come creare una seconda pelle per il cliente: non potrei mai realizzare un vestito senza conoscere prima il corpo che lo indosserà», racconta sorseggiando una tazzulella ‘e cafè, rituale di ospitalità cui il suo laboratorio a conduzione familiare non intende rinunciare.
Resistendo alla crisi, alla spietata concorrenza dei mercati asiatici e alla globalizzazione che ha imposto una progressiva standardizzazione dei gusti, i maestri della sartoria partenopea continuano a produrre capi di grande pregio con la passione e la dedizione di un tempo. Quando indossare abiti cuciti a mano era parte integrante dello stile di vita di ogni napoletano.