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testo e foto di Federica Araco

Di piccola estensione e lontana dalle rotte del turismo di massa, il Molise è una terra ancora poco esplorata e conosciuta ma ricca di arte, storia, cultura e paesaggi incontaminati di rara bellezza. Attraversarla al passo lento e cadenzato di una carovana a cavallo è un modo insolito ed emozionante per conoscerne gli aspetti più nascosti e affascinanti.

Il programma è serrato e prevede un percorso di circa 100 chilometri lungo i tratturi, le antiche arterie stradali usate dai pastori per spostare gli armenti dalle montagne al mare, già in epoca preistorica. Siamo nel cuore del Sannio, un’ampia regione montuosa che prima della conquista romana si estendeva nell’Italia centrale dal basso Abruzzo alla Puglia Settentrionale, dalla Lucania al Molise fino al nord della Campania. Secondo la leggenda la tribù dei Sanniti Pentri arrivò in questo territorio più di 2500 anni fa seguendo un bue lungo i sentieri erbosi della transumanza e fondò la propria capitale, Bovianum (l’odierna Bojano), sul massiccio calcareo del Matese.

La prima tappa del nostro itinerario è l’antica città sannitica di Saepinum (IV-V secolo a.C.), che nel Medioevo cambiò nome in Altilia. Importante snodo per mercanzie e viaggiatori lungo il tratturo Pescasseroli-Candela, questo sito archeologico conserva ancora oggi intatti i segni del suo florido passato. Numerosi sono i resti della città romana che subentrò al precedente insediamento sannitico, in particolare Porta Bovianum, da dove entravano gli armenti, le terme, il colonnato ionico della basilica, il foro e il teatro, particolare perché dietro la platea a partire dal XVIII secolo costruirono case coloniche in pietra locale che testimoniano un ripopolamento dell’area prima degli scavi, cominciati nel 1950.

«La montagna è la chiave dell’economia sannitica perché ha dato origine alla pastorizia che spostava le greggi lungo i sentieri che permettevano di passare dalle alture appenniniche, in estate, al mare, durante i mesi invernali» , spiega l’archeologa Giovanna Falasca. «Non è un caso se Saepinum fu edificata sullo snodo tra un tratturo e una strada di valico che dal massiccio del Matese scendeva fino all’Adriatico. A differenza dei Romani, infatti, che urbanizzavano molto i loro territori creando infrastrutture e città complesse e ben collegate tra loro, i Sanniti, più ecologici e sostenibili, prediligevano pochi insediamenti con funzioni specifiche».

Procediamo verso l’Appennino,attraversando colline e campi coltivati, costeggiando i resti di un tempio sannitico del III secolo a.C., poi trasformato nel santuario medievale di San Pietro dei Cantoni. Piccoli borghi arroccati e vecchi casali abbandonati si mescolano a un paesaggio naturale di straordinaria bellezza mentre l’autunno comincia a cambiare i colori delle chiome degli alberi. Tra cespugli di rosa canina, biancospino, more, ginestra, cerri, querce e aceri, si scorge il panorama della pianura sottostante.

Verso il Matese

A dominare il territorio si staglia l’imponente fortezza di Terravecchia, usata dai Pentri come rifugio per le guarnigioni durante le guerre contro i Romani. Lungo le ciclopiche mura poligonali a doppia cortina, di 500 metri, erano collocate le tre porte di accesso: la posterla, che controllava il valico verso i territori campani da dove arrivavano merci e beni di consumo importanti per l’economia locale, quella dell’acropoli e quella del tratturo, che collegava la rocca con la città di Saepinum.

Lasciamo la fortezza alle nostre spalle e continuiamo a salire lungo un sentiero tortuoso che si dipana tra piccoli ruscelli, un tappeto di crocus e ciclamini selvatici, pascoli, rocce calcaree e boschi di querce. « Il massiccio del Matese è tra i più imponenti dell’Appennino centro-meridionale e da un punto di vista paesaggistico rappresenta un elemento intermedio tra le asperità dei monti abruzzesi e la dolcezza delle colline dell’alta Puglia», spiega Alessandro Colombo, guida naturalistica. « Ricchissimo di acqua, è anche uno dei territori meno antropizzati di Italia: fatta eccezione per la periodica presenza di carbonai, per l’annuale taglio dei boschi, e di pastori che praticano l’alpeggio, è totalmente disabitato». Quello che colpisce di più, visitando questi luoghi, è infatti la forza dirompente della natura che si integra ormai perfettamente con i resti di civiltà millenarie. La presenza umana è un elemento molto marginale e questo permette di immergersi pienamente nelle atmosfere dei luoghi. Gli zoccoli dei nostri cavalli affondano nel sottobosco fitto di foglie secche, piccoli tronchi e fango, mentre la temperatura comincia a scendere man mano che si sale di quota.

Un patrimonio di biodiversità

La riserva naturale di Guardiaregia, Oasi del WWF, presenta spettacolari fenomeni carsici tra i più profondi d’Europa e una ricchissima biodiversità, racconta la guida. « La particolarità di questa zona è proprio la grande varietà di piante: qui troviamo dal castagno, molto presente al sud, all’acero, più adatto ai climi settentrionali. Superati i 600 metri cominciano a esser diffusi i carpini mentre dopo i mille dominano l’agrifoglio, il frassino, il faggio e il tasso, rarissimo per via del suo legno flessibile. Resistente e leggero, era molto usato in passato per la costruzione di archi ed è tra le piante più longeve d’Europa. Il canyon del Quirino, che in alcuni punti raggiunge i cento metri di altezza, ha creato in questo territorio particolari condizioni climatiche che favoriscono la biodiversità e la presenza di specie molto rare, come la salamandra dagli occhiali, che è anche il simbolo della riserva».

Nell’oasi di Guardiaregia attraversiamo una grande faggeta con alberi alti più di 30 metri di circa 500 anni di età, noti come i tre frati, che secondo la leggenda sarebbero stati risparmiati dai taglialegna perché vi furono impiccati tre fratelli accusati di aver rubato dei capi di bestiame. L’atmosfera è magica, qualche raggio di luce filtra tra le fitte foglie che al passaggio della carovana si staccano dai rami cadendo lentamente al suolo mentre la nebbia, molto frequente in quest’area, avvolge silenziosamente ogni cosa.

Cominciamo a scendere lungo le pendici scoscese del monte Crocella, attraversiamo Valle Uma procedendo poi sulla strada panoramica che porta a Civita di Bojano, piccolo e pittoresco borgo medievale, fino a Bojano. Sfiliamo nelle vie del centro città, lastricato di pietre bianche, con i nostri cavalli, stanchi per i chilometri percorsi ma felici di riconoscere la strada di casa.

Fino al maneggio delle Scuderie del Peschio, a San Giuliano, partenza e arrivo del nostro viaggio circolare, percorriamo un ampio tratturo pianeggiante, ben conservato e incorniciato da pascoli ancora in fiore e campi coltivati come tele dipinte dal lavoro dei contadini e dal passaggio incessante di popoli e armenti.

 

Il trekking a cavallo lungo gli antichi tratturi Sanniti Pentri è una proposta della Kolidur Travel Club, principale operatore locale, che da qualche anno promuove un turismo sostenibile per valorizzare le risorse culturali e naturali del territorio.

Info e contatti su:  http://molisediscovery.com/

 

fonte Babelmed: ita.babelmed.net/viaggi/202-italia/13290-nella-terra-dei-sanniti-pentri.html