di Alessandra Cristofari
M’immagino il film di fantascienza socialista: produzione DDR. Fotografia vintage, messe in piega delle donne molto rigide. Gli attori col camice. Le Pussy Riot legate a delle macchine con delle ventose sulle tempie. Gli psichiatri, due uomini e una bionda, osservano il diagramma su un computer che occupa tutta la parete e ha un enorme bottone rosso. Gli scienziati si guardano tra loro:
«Le Pussy Riot stanno dicendo la verità», commenta uno di loro.
«Stanno facendo tutto questo perché vogliono la libertà e la giustizia».
«Non dire sciocchezze», fa quello più anziano. «Questo test non ha valore scientifico, le ragazze volevano offendere la religione. Non possiamo permettere che chiunque entri in una cattedrale e faccia un concerto Punk».
La bionda stringe lo scienziato onesto per un braccio: «Non lo scriverai vero sul rapporto?».
Lo scienziato onesto si libera dalla stretta e se ne va sbuffando.
Estratto dalla prefazione di Sabina Guzzanti da Free Pussy Riot! Viaggio nella Russia di Putin di Alessandra Cristofari, Editori Internazionali Riuniti 2013
La cupola dorata della Cattedrale di Cristo Salvatore squarcia il cielo di Mosca e tronfia si eleva da buon edificio più alto di tutti gli altri. Da Alessandro I che l’ha pensata alle Pussy Riot che l’hanno oltraggiata e/o fatta rivivere – sono punti di vista – il passo è breve anche se la Madonna non ha ascoltato l’invocazione delle ragazze dal colbacco colorato. «Madre di Dio, Vergine, caccia via Putin!» cantavano le Riot russe, brandendo le chitarre dal centro nevralgico ortodosso, poco prima delle elezioni che avrebbero consegnato per la terza volta il Paese nelle mani di Vladimir Putin. Due delle tre Pussy Riot sono ancora in carcere a scontare due anni di detenzione per aver “offeso i sentimenti dei religiosi” dopo la performance di Punk Prayer. Dai fasti dell’oro di Cristo Salvatore agli istituti di massima sicurezza siberiani: ecco come si muove la vertigine di chi denuncia i poteri forti della politica. Marya Alyokhina e Nadezhda Tolokonnikova si svegliano alle cinque del mattino ogni giorno e sono costrette ai lavori forzati, come la nobile arte del cucire ininterrottamente divise militari. Le immagini che arrivano dalle colonie penali – definite come le peggiori di tutta la Russia – le mostrano avvolte in pesanti cappotti, mentre marciano in cortile nell’ora d’aria. Sono pallide, stanche e lontane dai loro figli, ma vive, perché se si fossero chiamate Anna Politkovkskaja avrebbero una pallottola al cuore e tre in testa. Bang, bang, bang, bang e benvenuti in Russia.